Siamo ogni giorno alla mercé di una quantità di notizie impressionante: dalla cronaca locale sotto casa a quanto proveniente da ogni angolo del mondo. Ciò avviene con un flusso ininterrotto e attraverso diversi sistemi di diffusione, che sommano la vastità dei luoghi da cui arrivano i fatti meritevoli di figurare nelle cronache con la velocità di propagazione che ci porta notizie a raffica in un "usa e getta" che ci obbliga a scegliere per non esserne frastornati. Questo flusso è come trovarsi ad un incrocio di auto e di folla in un'ora di punta ed è sempre più difficile poter vagliare con l'attenzione necessaria quanto davvero meritevole di essere seguito e compreso. Ci pensavo rispetto ad un evento di cui non ho sinora parlato e di cui ho colto la drammaticità e l'interesse grazie a due filmati trovati in quel navigare compulsiva sui "social", in cui ormai riuscire a distinguere ciò che è realmente interessante da troppa spazzatura è un'impresa che mette a dura prova anche la persona più scafata.
Mi riferisco - e le immagini danno conto di un collasso di una parte intera di una cima - alla terribile frana caduta la settimana scorsa in Svizzera e per essere precisi nella Val Bondasca, che è una valle laterale della Val Bregaglia. La vallata si trova nella regione Maloja del Cantone dei Grigioni al confine con la Lombardia. E' lì, dal Pizzo Cengalo, che intorno alle 9.30 dello scorso mercoledì 23 agosto è scesa una frana di quattro milioni di metri cubi, esattamente dal versante nord della montagna al confine con l'Italia, vicina al più famoso Pizzo Badile. Le rocce hanno dato origine ad una colata detritica, che ha ucciso almeno otto alpinisti nella zona e distrutto tutto quanto si è trovato lungo la linea di questo disastro ambientale in un versante che era già monitorato per analoghi eventi precedenti. Approfondendo il fatto, ho ritrovato ovviamente tutti quegli elementi che fanno tristemente parte del vissuto e delle cronache passate delle Alpi, dove la continua trasformazione delle montagne ha sempre originato nei secoli vicende analoghe fatte di paure e lutti. Chiunque conosca l'attuale situazione di riscaldamento globale sa che la fragilità delle nostre montagne e i rischi conseguenti sono purtroppo una realtà su cui confrontarci e con la quale convivere. Prendete una mappa delle zone rosse, cioè pericolose in certe circostanze, della Valle d'Aosta e capirete che cosa voglio dire. Questo significa non solo vigilanza, ma anche opere di prevenzione per l'accelerarsi di fenomeni potenzialmente distruttivi e la maggior prevedibilità deriva ovviamente dalle moderne conoscenze tecniche che possono ridurre i rischi incombenti sia con opere preventive necessarie per diminuire il pericolo sia con scelte drastiche di delocalizzazione su cui talvolta si fanno orecchie da mercante. Questo esempio conferma quanto sia sensato il richiamo ad un'identità alpina, che non è un'evocazione retorica di Heidi e delle sue caprette, ma la realtà dei fatti di un mondo, sommatoria di microcosmi, attraverso una catena montuosa di 1.200 chilometri che ha similitudini e analogie. Quando si parla della macroregione alpina come strategia europea, si evocano nella sostanza nuove forme concrete di collaborazione fra le Regioni alpine, che l'ormai vecchia logica degli Stati nazionali stenta a comprendere. Il territorio alpino ha problemi da affrontare e risolvere in tutti i settori ed è irresponsabile non capire che la cooperazione fra le popolazioni che abitano le Alpi e le diverse forme di democrazia locale che le amministrano è un elemento capitale per lo scambio di buone pratiche e per mettere assieme esperienze e ricerche. Si sconta, in questo senso, una logica ancora di "separatezza" dovuta al retaggio storico divisivo delle frontiere e dei confini, quando invece - per fortuna - questo elemento, in una chiave europea, è da considerarsi sorpassato e le nuove tecnologie consentono spazi di dialogo e di scambio di informazioni lungo l'asse orizzontale e verticale dello spazio alpino un tempo impensabili. Questo è davvero una dei grandi cantieri di idee del futuro, che anche la piccola Valle d'Aosta deve cavalcare, respingendo logiche di chiusura e di continuo declassamento della Politica con la "p" maiuscola.