I miei amici calciofili non parlano d'altro e se sono juventini è peggio ancora, perché plana sulla vicenda l'evocazione drammatica del tradimento. Leonardo Bonucci - che mi pareva già antipatico di suo - lascia la Juventus e approda al Milan: tutto ruota attorno al trasferimento del calciatore e tocca informarsi di più per non fare proprio la figura del bamba nelle discussioni susseguenti. Apro parentesi. Non seguo più il calcio da molti anni, dopo averlo fatto con la passione del bambino giocando dappertutto con gli amici e persino nella squadretta dei pulcini del mio paese, ma ero una pippa con modesta carriera nelle partite estive con gli amici. E come non evocare gli album delle figurine con i doppioni scambiati a scuola e cronache domenicali ascoltate per Radio con il fascino della descrizione più affascinante dell'immagine. Da adulto ho seguito con la moderazione di chi apprezzava il bel gioco in televisione senza andare allo stadio. Poi ho staccato la spina.
E' stata una scelta fatta a tavolino. Non mi piacevano più all'inizio due cose. La prima era il dubbio crescente di tante pastette concretizzatosi in varie puntate di "Calciopoli", intrecciate con le scommesse legate proprio ai risultati delle partite e agli interessi da capogiro. La seconda è il disagio di notare la presenza di troppe persone che si rendevano ridicole, seguendo questo sport-spettacolo in modo ossessivo, regolando il proprio umore con gli esiti della squadra del cuore. Tutto questo condito da una stampa sportiva, scritta e televisiva, che non sa più usare leggerezza ma segue il calcio in modo esagerato e persino imbarazzante per rispondere ad appassionati che sembrano talvolta aver perso la bussola. Ha scritto, a ragione, Marco Marvaldi: «C'era un tempo, ormai lontano, in cui la "Gazzetta" di luglio e agosto considerava il calcio solo per cortesia, nelle pagine centrali, contrassegnate da un emblema in alto con un pallone sotto l'ombrellone e la scritta "Calcio d'estate". Il resto del giornale era atletica, nuoto, ciclismo, pugilato. E calciomercato, certo, ma solo per casi clamorosi. Oggi, invece, il calcio monopolizza: a partire dalle prime pagine su ipotesi non confermate di possibili trasferimenti di mercenari strapagati da un club a un altro». Poi nel tempo di ragioni di distacco ne ho trovate altre. La violenza negli stadi e la tracotanza delle tifoserie violente faceva il pari con l'emergere del fenomeno dei procuratori, che hanno fatto salire la valutazione dei calciatori ed i loro stipendi a livelli indecenti. Si aggiunge poi il ridicolo di squadre senza anima locale con formazioni degne della Legione straniera, che nel caso italiano svuotano le speranze dei giovani di qui con conseguenze sulla squadra di tutti, la Nazionale. Chiudo la lunga parentesi. E torno a Bonucci, impressionato dai "social" ribollenti per una vicenda banale: un bravo calciatore che se ne è andato perché non l'allenatore voleva disfarsene per evidenti dissidi. I soldi non puzzano e la fedeltà non esiste neppure in Amore. Tanto rumore per nulla. Viene in mente la battuta di Cesare Zavattini: «Dategli ventidue palloni, così la smettono di litigare». Nulla in confronto al mitico Gianni Brera: «Il calcio costituisce oggi con la musica leggera il solo sfogo dinamico e culturale d'una popolazione nelle cui vene è ormai dubbio che perdurino molti globuli ereditati dai santi e dagli eroi, dai navigatori e dai martiri ai quali si rifà graziosamente la storia imparata a scuola».