Ho seguito per anni alla Camera le vicende del "Club alpino Italiano", che resta - al di là di ogni possibile critica per un certo burocratismo dell'antica struttura - la più importante fra le organizzazioni di massa dedicate al mondo della montagna. Per capirne la storia, in modo non celebrativo, consiglio la lettura di molte pagine del libro "Le montagne della patria" di Marco Armiero, che ricorda dall'Ottocento ad oggi alcuni passaggi della vita del "Cai", che nobilitano ancora di più il "Club alpino" di Aosta (oggi Valle d'Aosta) in certi suoi momenti, sin dalla fondazione avvenuta e cresciuta davvero in un ambiente montanaro. Racconta il sito sulla storia valdostana (storiavda.it) e siamo nel 1866: "Seconda sezione in Italia, dopo quella di Varallo Sesia, è voluta e animata dal canonico Georges Carrel. La presidenza onoraria è attribuita all'alpinista e giornalista inglese Richard Henry Budden".
"Secondo il progetto originario - si legge ancora - doveva trattarsi di una stanza dove il "Club alpino torinese" potesse depositare qualche libro, carta e strumenti per le escursioni. Nella sede, in cima alla grande scala del Municipio di Aosta, i visitatori potevano trovare una piccola biblioteca, guide, panorami e foto di montagna, una collezione di animali, piante, rocce e minerali, cimeli di grandi ascensioni, come la scala usata da Edward Whymper sul Cervino, ed un grande plastico in rilievo della Valle d'Aosta, donato dal canonico Pierre-Louis Vescoz. Due anni dopo un "Cabinet de lecture" è inaugurato nella sala del "Cai". Promosso dal giornalista e alpinista inglese Richard Henry Budden, direttore onorario, e denominato anche "Cercle littéraire d'Aoste", è posto sotto la vigilanza della municipalità ed ha un direttore effettivo, un bibliotecario e un segretario. Oltre al materiale della sezione aostana del "Cai", accoglie la biblioteca che il canonico Félix Orsières aveva legato all'amministrazione cittadina e si impegna ad acquistare nuove opere e ad abbonarsi a riviste varie. In base al regolamento, il circolo letterario deve rimanere estraneo a ogni questione politica e religiosa; per diventarne membri è necessario il parere vincolante dell'assemblea generale e il pagamento di una quota trimestrale; nella sala di lettura è fatto divieto di parlare e di fumare". Più avanti si legge di come la ramificazione diventi territoriale delle terre più alte, oltre gli alpeggi sommitali: "Intanto, in montagna, gli alpinisti potevano incominciare a trovare i primi rifugi. In particolare si deve all'iniziativa del "Cai" di Aosta e di Torino la costruzione della "capanna Carrel" sul Grand Tournalin (1876), del "pavillon Budden" sulla Becca di Nona (1877), della "capanna della Gran Torre" al Cervino (1882), della "capanna Regina Margherita" sul Fallère (1884), del "pavillon De Saussure" sul Monte Crammont (1889), della "capanna Defey" al colle del Rutor (1889) e delle prime tre capanne, all'Aiguille du Midi, al colle del Gigante, e all'Aiguille Grise, che avviavano la creazione di un sistema di rifugi nel gruppo del Monte Bianco". Saltando a piè pari le gesta di quegli anni, va ricordato come, mentre nel Ventennio fascista, Armiero ricorda che in Italia, assieme al "Touring Club", il "Cai" si inchina del tutto al Regime, in Valle d'Aosta questo non avviene se non marginalmente e basta scorrere i membri di allora per capire quanti militarono nell'antifascismo e confluirono nella Resistenza. Non lo dico in termini propagandistici, ma per rimarcare come ci sia sempre stato un richiamo più che a logiche di sudditanza ad un'affermazione corretta di certi valori della montagna come elemento principale. Credo che non sia scritto abbastanza sul ruolo avuto nel dopoguerra rispetto alle ondate migratorie e alla capacità di integrazione sociale e di proselitismo verso la montagna espresse dal "Club alpino". Penso alla sezione di Verrès, a cui sono stato iscritto per anni, ed al lavoro di avvio alla montagna invernale ed estiva fatto da personalità come Raffaele Bertetti. Si trattava, in sostanza, di aiutare generazioni di giovani a capire in quale ambiente vivessero, affinché la loro vita - come oggi capita spesso a chi abita ad Aosta o nei paesi del fondovalle - non trascorresse in una specie di oblio dell'ambiente alpino che li attornia. Il mio piccolo Alexis ha passato una settimana intera a girare la Valle con diverse escursioni con i volontari del "Cai" e ne ho ricavato la conferma di che cosa sia il volontariato vero, quello non avariato da logiche affaristiche o semplicemente stipendiali, che sono sempre legittime, ma il volontariato (in francese non a caso "bénévolat") è altra cosa. Posso dire che se già i genitori avevano instillato il gusto e la voglia di andare in montagna, ora gli amici del "Cai" (Piera, Angela, Linda, Renata, Dario, Ruggero, Gigi...) hanno fatto il resto e lui si sente già un piccolo ma fiero "montanaro".