Non ho mai trovato personalmente nel termine "provinciale" un'accezione linguistica negativa, anche se conosco bene l'uso snobistico che ne può esserne fatto, assecondando lo stereotipo di una persona che può avere mentalità e abitudini di vita da considerarsi arretrate e rozze rispetto a chi vive nelle grandi città. E' vero che "provinciale" da noi - lo dico sorridendo - si scontra contro il fatto che, anche se spesso gli organi dello Stato o i mezzi di informazione nazionali se ne dimenticano, la "Provincia di Aosta" venne soppressa nel 1945 e siamo fieri di questa circostanza, che riporta in capo alla Regione autonoma non solo poteri e competenze un tempo provinciali, ma fa di noi dei provinciali... sui generis. Per altro, per chi voglia considerare che piova sul bagnato, anche il termine ”montanaro" è stato usato nel tempo per definire chi lo sia come retrogrado e gretto ed io invece la considero una medaglia al valore.
Tuttavia è vero che possono nascere comportamenti che denotano, semmai, complessi di inferiorità che ci fanno scimmiottare i "cittadini" ed i loro usi e costumi. Penso all'abuso, quello sì provinciale, dell'inglese in certe nostre campagne di promozione, quando il "target" (ecco l'inglese!) del cliente potenziale da colpire non è affatto anglofono, ma evidentemente l'uso dell'inglese fa fine e mostra quanto si sia cosmopoliti... Ecco perché, adeguandomi, vorrei riflettere ancora sulla "Route 26" (Twenty-six), che sarebbe la "Statale 26", ma il riferimento alla "Route 66" americana sprovincializza ogni riferimento "local", dandogli la giusta coloritura "global". Il mio, usando un francesismo e me ne scuso per i neoanglofoni, è un plaidoyer che mira a dire quanto ne abbia le tasche piene come utente quotidiano. Sarà che ad innervosirmi era già il fatto che per il ponte del 2 giugno qualche genio dell'"Anas" aveva deciso che fossero quelle le giornate adatte per rifare le strisce sulla carreggiata asfaltata di fresco, lavoro avvenuto giorni prima con code chilometriche ed anche con la curiosa scelta di fare asfaltature a macchia di leopardo, cioè solo per alcuni tratti, non so bene come prescelti. Ma a mettere il sale sulle ferite è stata la constatazione che la nostra "Route", come molte strade regionali, sia ormai nel finesettimana una vera e propria pista per un sacco di "motard" ("biker" o, se preferite, "motociclisti") che scambiano la nostra strada principale (una volta era l'autostrada, che ormai costa come un ristorante stellato) per una pista sulla quale sfidarsi. Ma ciò rientra nell'ormai evidente "deregulation" (inglese!) della "Route 26", che è campionario di tutto: dal fiorire di rotonde con ornamenti vari al centro ai semafori regolatori le strade afferenti, dagli "autovelox orange" accesi o spenti ai dissuasori luminosi con faccine tristi se superi i cinquanta chilometri orari, dai trasporti eccezionali che vanno dai camion di pietre ad enormi gru ai trattori colmi di fieno "on the road" (inglese!), dalle "Api" a passo d'uomo, ai venditori di frutta calabrese sulle piazzole ormai messi come negozi perenni in barba alle leggi. In più, quando piove, attraversi la "Mongiovetta" facendoti il segno della croce, sapendo bene che è noto a tutti quanto sia instabile la parete rocciosa, immaginando già il vivo stupore dei responsabili quando ci scapperà il morto, schiacciato da un masso, e toccherà alla Magistratura scoprire le perizie geologiche che giustificherebbero davvero dei lavori di somma urgenza utili e non strumentali. Ma capisco che ululo alla luna come un lupo: una sorta di soliloquio che non sortisce mai effetto e così visto che "A' chaque jour suffit sa peine" mi accingo ogni giorno a scrutare cosa di nuovo renda complicata la vita all'utente medio della "Route 26": lo faccio con ottimismo, perché, malgrado tutte le magagne, ci pensa il panorama attorno a me a strapparmi, capiti quel che capiti, un sorriso.