E' divertente per clamore e assieme triste per la realtà come, di tanto in tanto, si scopra che la Televisione (ma anche media tradizionali come la Radio o nuovi come quelli nella galassia Web) assume sempre più forme di spettacolarizzazione fuori dalle righe e dal buonsenso comune. Ultimo caso la scelta giusta dei vertici "Rai" di chiudere una trasmissione di intrattenimento, che si era infilata in definizioni delle donne provenienti dall'Est Europa intrise di luoghi comuni offensivi e sessisti, degni di un incidente diplomatico. Mi sfugge dell'insieme di tutto questo fenomeno di degrado una definizione esatta: mi verrebbe da dire - per provare una sintesi, che però è forse incompleta - "gusto dell'orrido".
Mi riferisco al piacere di contemplare spettacoli intrisi di volgarità, cafonaggine, scurrilità, trivialità. O più semplicemente assistere a trasmissioni quasi grottesche nella loro intrinseca violenza e persino con deformazioni della realtà per renderle più appetibili fra urla, insulti, scorrettezze e - peggio ancora - rappresentazione errata dei fatti per piacere di più in epoca di populismi alimentati da storie inverosimili, intrise di menzogne e leggende metropolitane per eccitare gli animi. Nulla di nuovo, si potrebbe dire, pensando al "panem et circenses" dell'antica Roma con i gladiatori, le bestie feroci, battaglie navali, esecuzioni pubbliche. Si aggiunge al repertorio odierno il clamoroso pompaggio della cronaca nera più greve e terribile, che riflette l'immagine di una società sordida e brutale, da processare con tanto di esperti della materia in studio, che sembrano già dalla loro fattezze personaggi da commedia dell'arte. Scriveva anni fa - era il 2012 - su "La Stampa" Massimiliano Panarari, politologo ed esperto di comunicazione, commentando un "Festival di Sanremo" con parolaccia incorporata: «Segno dei tempi, dirà qualcuno, in un Paese che ha sdoganato la trivialità in ogni dove, a partire dalla discussione politica (anche se qui, a parte alcuni recidivi, l'aria parrebbe cambiata) e dalla "maschia" o spiccia antipolitica. E modalità intergenerazionale e interclassista di comunicare. Come dire, un "vaffa" non si nega nessuno, e una tonnellata di "caz.." al giorno leva lo psicanalista di torno. Così fan (più o meno) tutti e così andrebbe la società italiana. Ma, a questo punto, sorge un dubbio - e, magari, pure un sospetto di schizofrenia. Se l'ambizione è riunire nel salotto davanti al piccolo schermo (moderna rivisitazione del foyer domestico) tutti quanti in nome di un "sano divertimento familiare", allora lo spettacolo a suon di turpiloquio non va bene. Per niente». Più avanti osservava e condivido: «Da qualche decennio, l'Italia fattasi via via sempre più liquida e postmoderna, si è rimodellata, nei comportamenti e nei gusti, intorno a quella che Umberto Eco ha chiamato la neo-tv e, più recentemente, alla sua ulteriore involuzione, ribattezzata dal sociologo Vanni Codeluppi "trans televisione". La vecchia categoria del nazionalpopolare ha ceduto così il passo a una sottocultura dilagante (in alcuni ambiti persino egemonica), la cui irresistibile ascesa si spiega anche con l'avere legittimato i nostri (assai poco commendevoli) basic istinct, turpiloquio compreso». Questa circostanza non è un fungo nato in una notte, ma fenomeno assestato e non lo scrivo per moralismo becero. Basti pensare che il programma radio più ascoltato in Italia è "lo Zoo" di "Radio 105" che in fascia pomeridiana ormai raccoglie il peggio della volgarità od a Giuseppe Cruciani che con "La Zanzara" su "Radio24" pesta sempre di più - con grande successo di ascolti - sul tasto dell'eccesso verbale. Quindi non è solo un problema di conduttori e contenuti, ma anche di pubblico che segue troppo il grand-guignol. Situazione che somiglia a coloro che si lamentano ex post di certi politici, purtroppo per loro dopo averli votati.