Seguo con curiosità i destini incrociati di due personalità politiche diverse nel panorama politico europeo. Il primo è François Fillon, candidato del centrodestra francese per l'Eliseo, che era riuscito - da vero outsider - a sconfiggere il revenant Nicolas Sarkozy e poi nel duello delle Primarie l'esperto Alain Juppé. Sembrava, conservatore e cattolico, la scelta giusta per sconfiggere al ballottaggio quella Marine Le Pen (anche lei con i suoi problemi giudiziari), figlia di quel Jean-Marie, espressione di un'estrema destra retriva e fascisteggiante. Poi Fillon si è infilato in una serie di bugie sull'impiego alla "Assemblée Nationale" della moglie e altre questioni su finanziamenti privati che lo hanno portato sulla soglia della rinuncia per un inchiesta molto serrata della Magistratura francese. Ma lui, ormai bruciato, tiene ancora duro ed ha parlato esplicitamente di un «complotto politico» montato ad arte contro di lui.
Il secondo personaggio è Matteo Renzi, che mi aveva abbastanza intrigato quando entrò sulla scena. Sembrava interprete di chissà quale novità. Ma devo dire di avere aperto gli occhi quasi subito, specie per la spregiudicatezza sua e del suo rampante entourage. L'effetto annuncio e la bagarre contro tutto e tutti hanno trasformato la simpatia in un senso di crescente sfiducia verso una logica da guascone e puzza di occupazione affaristica più da vecchio democristiano che da giovane progressista. Ora si è aperta un'inchiesta sul papà che illumina - se certe vicende saranno provate - su certi rapporti opachi e lui, richiesto di dire la verità, ha scelto di denunciare con veemenza un «complotto politico». Naturalmente non pensa di farsi da parte ma di "combattere" anche con polemica aperta con quel "Zelig" della politica che è Beppe Grillo, ben contento di buttare tutto in rissa, non riuscendo mai a far capire come voglia passare dalla protesta alla proposta e laddove nei Comuni governa gli esiti sono stati modesti. Questa analogia di destini Fillon - Renzi, pur piena di differenze perché Francia ed Italia hanno storie istituzionali con connotazioni proprie, è il segno dei tempi, che non permettono più di ricorrere al complottismo, ma pretendono che non ci siano in Politica lati oscuri sui comportamenti personali che si incrociano con la concezione del potere e l'uso delle Istituzioni. La parola chiave diventa, in epoca di grande confusione e di mancanza di certezze, la "Sincerità" dei comportamenti e delle scelte e pure quella parola, per troppi démodé, che è "Onestà". Diceva Martin Luther King: «Non ho paura della cattiveria dei malvagi ma del silenzio degli onesti». L'idea della Politica come lasciapassare per tutti i comportamenti e "zona franca" dove si possa agire in modo borderline non è per nulla concepibile e se pure la Giustizia ha avuto tendenza in Italia ad occupare spazi non suoi nell'equilibrio fra i poteri della Repubblica, questo avviene quando il potere politico non è all'altezza e troppi punti interrogativi con risposte vaghe si manifestano su fatti che emergono nelle cronache giudiziarie ed i giornalisti che pongono domande - loro che sarebbero il "quarto potere" - sono considerati «rompiballe» (e qualche torto, come propagatori di certe fughe di notizie fatte ad arte, ce l'hanno pure loro...). Così i cittadini sconcertati sposano estremisti e demagoghi che incantano le folle contro gli errori di poteri costituiti fattisi consorterie e gigli magici. Ma l'alternativa non può essere scompaginare tutto e finire nelle mani di chi urla più forte o usa più la pancia che la testa alla ricerca di consensi, in assenza di chiarezza di cosa si voglia fare una volta raggiunti posto di responsabilità. Certe storie in corso del trumpismo, giustificate dal successo elettorale del nuovo Presidente Donald Trump, aprono baratri sul suffragio universale, usato anche per portare al comando personalità carismatiche che possono fare dei danni terribili, come ci insegna la storia ben sperimentata dei totalitarismi. Questo scenario conferma, all'opposto, l'elogio della normalità e delle regole costituzionali come punto di riferimento per contrastare le malattie degenerative della Democrazia.