Non sia considerata un provocazione e neppure un atteggiamento supponente, ma credo davvero che si possa vivere senza il Calcio. Lo scrivo sulla base di una certa indignazione dopo la bella vittoria - riscatto contro i gufi che lo aspettavano al varco - del fondista valdostano Federico Pellegrino, diventato campione del mondo nello sprint a tecnica libera a Lahti, in Finlandia, con un arrivo mozzafiato per lui che si sforzava e per noi in poltrona a seguire gli ultimi metri con il batticuore. Il giovane di Nus, con la morosa walser che lo ha fatto trasferire nella Valle del Lys e lo ha inquadrato anche come atleta, è un ragazzo simpatico, che ho conosciuto in un'intervista radio quest'estate. I campioni veri si vedono dalla loro stoffa umana e lui si avverte subito che è una persona a posto, con la testa sul collo e una bella vita familiare, dotato di quella grinta che differenzia lo sportivo travet da chi sa guardare al podio.
Proprio se comparato a molti campioni del calcio, vien da dire: «viva Pellegrino!». Il suo è uno sport durissimo, poco pagato, ma con una componente agonistica impressionante senza vizi, vizietti, veline e capricci di molte star della palla rotonda. E però l'indomani della vittoria i grandi quotidiani nazionali lo hanno snobbato in favore di pettegolezzi sul Calcio: fatto del tutto ingiusto e ingiustificato. Forse il grande spazio dato all'esonero al "Leicester" di Claudio Ranieri era l'unica notizia vera, significativa di quanto marcio ci sia nel calcio, pensando che il tecnico pochi mesi fa era diventato un mito per avere portato una squadra di provincia alla vittoria della "Premier" per la prima volta nella sua storia. Intendiamoci: so bene quanto il Calcio faccia parte della nostra vita. Se penso a me da bambino, mi vedo davanti al portone in legno del garage di casa con una palla a passare ore a palleggiare oppure a giocare nel cortile del mio vicino Davos con partitelle interminabili per finire infine a correre nel campo di calcio del mio paese e chiudere la mia carriera con la maglia di pulcino, capendo di non essere dotato. In contemporanea c'erano le figurine "Panini" comprate per riempire l'album, "Tutto il calcio minuto per minuto" ascoltata alla Radio e "Novantesimo minuto" alla televisione. L'assoluta normalità di un'iniziazione allo sport italico per eccellenza. Ho amici che non mancherebbero mai e poi mai una partita della loro squadra del cuore e studiano l'agenda in modo apposito da non mancare e spesso il loro umore si regola attorno al risultato ottenuto. Si oscilla, con passione, fra gioia e disperazione, fatta anche di tutti gli sfottò che dal bar all'ufficio si incrociano per i perdenti di turno. Aveva ragione Pier Paolo Pasolini, scrittore e regista, discreto giocatore, che sentenziava argutamente: «Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. E' rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro». Basta vedere gli stadi cosa sono e la querelle infinita sullo stadio della Roma che fanno titolone (ma chi se ne frega!) per capire come questo impasto di emozioni e soldi sortisca una continua fibrillazione. E malgrado gli scandali infiniti su partite truccate e truci procuratori il tifoso resta indefesso di fronte al proprio amore e lascia passare, anche se in molti in cuor loro si domandano quanto marciume ci sia sotto il tappeto. Ma a me indigna il poco spazio dato ad uno come Pellegrino, pur capendo che da una parte c'è uno sport umile e uno sportivo vero (sul doping quando l'ho intervistato è stato assai chiaro nel denunciarne l'uso da parte di alcuni!) e dall'altra un mondo dorato che non fa solo girare la palla sul terreno erboso, ma muove miliardi come noccioline con ingaggi che gridano vergogna. Il compianto Gianni Brera, giornalista padano dal lessico imbattibile, ha scritto sull'amore per il Calcio pagine impagabili, ma anche qualche sasso dalla scarpetta se l'è tolto, come quando disse: «Il calcio costituisce oggi con la musica leggera il solo sfogo dinamico e culturale d'una popolazione nelle cui vene è ormai dubbio che perdurino molti globuli ereditati dai santi e dagli eroi, dai navigatori e dai martiri ai quali si rifà graziosamente la storia imparata a scuola».