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13 feb 2017

Verso l'Europa a due velocità

di Luciano Caveri

Chi mi conosce sa quanto, anche sulla base delle esperienze europee, io resti un convinto europeista, anche se l'Europa attuale, così come si è strutturata, non sia - e per un federalista non potrebbe essere altrimenti - niente affatto soddisfacente. Ma questo non significa buttare via il bambino con l'acqua sporca del suo bagnetto: l'integrazione europea non è solo un sogno utopistico, ma una realtà necessaria per il Vecchio Continente e lo è - nel nostro piccolissimo - anche per la Valle d'Aosta, che può nell'Europa avere un'assicurazione sulla vita rispetto a disegni distruttivi della propria identità politica e istituzionale. Leggevo ieri la bella intervista a Romano Prodi, che finalmente ha messo la testa fuori dal guscio e torna a parlare di politica dalla posizione di vecchio saggio che gli è propria.

Intervistato per "La Repubblica" da Andrea Bonanni ha detto cose che condivido, quando commentando l'Europa a due velocità prospettata da Angela Merkel ha chiarito: «Sono due anni che lo ripeto: questa, in mancanza di una condivisa politica europea, è l'unica strada percorribile. Tutti insieme non si riesce a portare avanti il progetto europeo. La mossa della Cancelliera è benvenuta anche perché mi sembra che finalmente dia una prima risposta a Trump e a Le Pen». Anni fa, quando questa idea si prospettava personalmente ero dubbioso: mi sembrava una specie di riedizione di un antico pregiudizio, che spezzasse in due l'Europa fra i Paesi "buoni" del Nord e quelli "cattivi" del Sud in una specie di versione continentale di "polentoni" e "terroni". Mi sembra oggi uno scenario in evoluzione, che invece mira ad avere uno zoccolo europeista duro, che attenui le spinte centrifughe che oggi alimentano un'Unione europea in ordine sparso. Su questo Prodi ha ragione quando aggancia tutto questo, nell'attualità, ad un Trump che vuole scompaginare l'Europa ed a persone come Marine Le Pen che cavalcano scelte sovraniste, che mirano a santificare le Nazioni con logiche giacobine che stendono un velo d'ombra sulla stabilità e sulla pace che il processo europeista ha garantito. Quel nazionalismo, sia chiaro, che può sfociare in logiche autoritarie che negherebbero ogni speranza federalista e che, negando per partito preso ogni spazio alla sussidiarietà, sarebbero letali per piccole realtà politiche come la nostra. Spiega bene Prodi: «Trump fa la rivoluzione, annuncia scompigli, attacca la Germania e cerca di dividerla dal resto d'Europa, mina la difesa europea. Le Pen predica la morte della UE e perfino della "Nato". Siamo di fronte ad un doppio attacco coordinato: dall'estero e dall'interno. Trump e Le Pen sono i due volti dello stesso pericolo: non capisco come mai non si siano ancora sposati. E finora non era arrivata nessuna reazione. Questa è la risposta che aspettavo, anche se avrei preferito che nascesse da un più ampio dibattito politico. Finalmente la Germania sembra cominciare ad assumersi quel ruolo di leadership che non aveva mai voluto esercitare. Va bene così». Certo che esiste per l'Italia qualche rischio, che derivi da due fattori: il primo è che l'Italia non ce la faccia a restare, benché Paese fondatore nel lontano 1957, nel gruppo di testa e precipiti nel secondo girone; la seconda è che questo processo di esclusione derivi anche dall'affermazione di chi, confusamente, ha sposato l'antieuropeismo senza tenere conto che un'uscita dall'Unione farebbe sprofondare l'Italia in un baratro senza fondo. Sul rischio di finire in "serie B" l'ex presidente del Consiglio, già presidente della Commissione, è lucido: «Il pericolo esiste. Il fatto che la proposta venga dalla sola Germania e arrivi proprio adesso, lascia adito a qualche timore. L'Europa a due velocità non è e non deve diventare un'Europa di prima e di seconda classe. Soprattutto non un'Europa in cui i passeggeri della prima classe decidono chi deve stare in seconda. Sarà il caso che il governo italiano si prepari bene, perché il vertice di Roma, a marzo, escluda questa eventualità». Vedremo: certo a sessant'anni dal "Trattato di Roma" il dibattito in Italia sembra avvitarsi su altre questioni, come mostrano le paginate su Virginia Raggi o la discussione oziosa, per via della pervicacia di Matteo Renzi, sulle elezioni anticipate come toccasana. L'Europa non è un santino da difendere, ma non è neanche quella fogna di Calcutta che ormai viene dipinta senza spiegare bene che cosa ci sarebbe in alternativa, se non un ritorno al passato in cui l'arretramento e la chiusura possono generare mostri in un mondo in cui i tamburi di guerra e purtroppo i fragori di battaglie in corso si sentono già, generando insicurezza e lo spettro di una letale Terza Guerra mondiale. Rabbrividisco a pensare ai miei figli, quando certi richiami nazionalistici e tribali appaiono in scena camuffati da nuovo che avanza, mentre è bene capire quanto - nel rispetto di tutti - può unire e non dividere. Alla fine l'invito più forte a serrare i ranghi viene non da un politico, ma dal quel Mario Draghi, a capo della "Bce", che dimostra carattere e coraggio.