Capita ogni tanto di riflettere su alcuni aspetti della vita valdostana attuale, che derivano magari da un'osservazione estemporanea che riaccende un flash e crea qualche dispiacere, specie quando si constata che certe misure non si sono dimostrate efficaci, come si credeva potesse avvenire. Per questo necessitano sempre di più dei pensatoi in Politica in Valle d'Aosta come altrove, che evitino la crescente impressione che partiti e movimenti siano strutture vitali solo in occasione delle elezioni o "riserve di caccia di voti" in una logica di affermazione personalistica e non momento di confronto per la comunità e di elaborazione di idee da concretizzare.
Ci pensavo ieri in occasione della Fiera di Donnas, grande manifestazione dell'artigianato tipico nel cuore dell'inverno, che innesca un mare di folla sin dalla caratteristica "Veillà", cioè i festeggiamenti notturni del venerdì svolti in particolare nelle numerose cantine, che ricordano la vocazione vitivinicola del paese. Lo scenario è quello solito: lungo il Borgo vengono allestiti i banchetti degli artigiani, mentre nelle immediate vicinanze ci sono stand vari, specie di prodotti gastronomici e questo dà il senso della festa popolare. Avendo una bacchetta magica e si potesse far sparire per un attimo la grande folla, ci si troverebbe di fronte allo sconsolante scenario di tutti i giorni. Ma partiamo dalla Storia e il racconto sintetico migliore lo si trova all'inizio del descrittivo su Donnas sul sito della Curia vescovile di Aosta: "Sviluppatasi lungo la monumentale strada romana per le Gallie, di cui conserva imponenti vestigia, Donnas ha onorato a lungo la sua vocazione di luogo di transito. Due ospedali vi furono fondati nel Medioevo per l'accoglienza dei poveri viandanti: l'uno dipendente dalla Collegiata di Sant'Orso d'Aosta; l'altro, gestito a partire dal 1629 da una comunità di Cappuccini. La via che attraversa il borgo, chiusa alle estremità da una porta medievale e un arco romano, fu strada di traffico di uomini e merci fino alla metà del XIX secolo, allorché fu realizzata una nuova strada (l'attuale statale) tra il borgo stesso e il letto della Dora Baltea". Non mi metto ad enumerare i palazzi nobiliari e le ricchezze architettoniche, perché il punto di vista in questo caso è altro ed è la constatazione di un problema serio. Mi riferisco, citando Donnas e lo si potrebbe fare di borghi simili del fondovalle ma anche della media montagna, al fatto che troppi centri storici non sono rifioriti, malgrado sforzi legislativi e in certi casi anche l'attenzione nei Piani regolatori comunali. Purtroppo, infatti, basta guardare la fila delle case che fanno da fondale della Fiera - per non dire degli esercizi pubblici chiusi - per constatare incuria ed abbandono e ciò dimostra come l'idea di rivitalizzazione dei Borghi non abbia funzionato e le ristrutturazioni siano state rare, privando di un tessuto economico e sociale luoghi un tempo vitali e popolati. Come se il cuore di certe comunità avesse smesso di battere e ci fosse su questa deriva - non solo immobiliare ma umana - una generale rassegnazione e la difficoltà di ottenere delle risposte che facciano da antidoto. Ho scoperto l'esistenza di una vera e propria geografia dell'abbandono e sarebbe bene su questo riflettere a fondo, specie perché - altro leitmotiv di questi anni - ciò corrisponde, per contro, anche in Valle d'Aosta al rischio di consumo del suolo e in passato anche a costruzioni in luoghi del tutto inopportuni, perché pericolosi, e mi pare tra l'altro di capire che neppure le delocalizzazioni di abitazioni e attività produttive più necessarie si siano mai concretizzate. Mentre poteva essere occasione per rimettere in sesto parte del patrimonio di case dismesse e cadenti in luoghi storici destinati a vivere di soli fantasmi. Ma sono solo pensieri in libertà.