Ci sono argomenti da trattare che sono "patate bollenti", che è bene manovrare quando si siano con ragionevole certezza raffreddate. Amo la polemica ma ho imparato come l'emotività, frutto dell'immediatezza, possa essere una cattiva consigliera. Esempio calzante è il giornalista Guido Meda che, dopo una cattiva esperienza in un ristorante di La Thuile, ha tuonato a caldo su "Facebook": «Amico valdostano che a volte mi fai sentire come il tuo bel bancomat ambulante su gambe, sai che se tu facessi anche solo finta di avere un po' di considerazione umana io e gli altri visi pallidi turisti della pianura ti pagheremmo anche più volentieri?». Questo è solo un passaggio di una polemica aperta e chiusa con abbraccio e selfie di fine polemica con la ristoratrice "incriminata".
Ma naturalmente questa storia - a me l'idea che siamo come una tribù di indiani d'America piaceva molto - ha dato la stura a commenti infiniti far accusatori e difensori. La prima lezione riguarda l'utilizzo dei "social". Grazie al telefono portatile la nostra vita è cambiata molto dall'alba al tramonto e chissà cosa arriverà ancora in quest'epoca di cambiamenti che non sono più epocali, perché molto subentra all'esistente in un batter d'occhio. Ci pensavo rispetto all'imminente compleanno - dieci anni e sembra ieri - dell'"iPhone" che abbracciai sin dagli esordi, lasciando quel palmare "Nokia" che mi pareva già rivoluzionario, ma che in confronto risultò essere stato un ferrovecchio. Certo che l'"iPhone" e la connettività che ne consente un uso appropriato sono un segno dei tempi e rispetto ai "social", commenti compresi, ci ha trasformati per il suo uso immediato e senza mediazioni in quei pistoleri del "Far West" dal grilletto facile. E talvolta - Meda insegna - i proiettili sono così rumorosi da pentirsene a mente fredda, proprio per l'immediata propagazione ed i commenti che tracimano. Per altro basta leggere recensioni e risposte su quel ristorante su "TripAdvisor" per vedere come in certe interlocuzioni scritte si dimostri che la Rete sia zeppa di cose da lasciar perdere e il silenzio sia d'oro per tutti, specie con chi è attaccabrighe. Resta il problema di fondo e lo dico con il cuore in mano, pensando a quando sul Turismo valdostano ho avuto qualche responsabilità. E aggiungo che, essendo un buon viaggiatore, l'attenzione per l'accoglienza l'ho sempre considerata essenziale per apprezzare la qualità di un soggiorno. Certo si viaggia per molte ragioni: a me è sempre piaciuta la frase di Marcel Proust: «Le véritable voyage de découverte ne consiste pas à chercher de nouveaux paysages, mais à voir avec de nouveaux yeux». E questo vuol dire anche interloquire con le persone, perché questo è così intrinseco nella nostra umanità. Ecco perché questa dote di empatia si collega strettamente alla cortesia, alla gentilezza, alla disponibilità dei tanti che lavorano nel sistema del turismo, che finisce per allargarsi senza confini esatti in una comunità ospitante. Non so se noi valdostani siamo accoglienti o meno: non sono nella posizione per essere oggettivo nel giudizio. Sarebbero ridicolo sia l'autoassoluzione che l'autoflagellazione. Diciamo che ci sono ancora - e talvolta bastano, per cominciare, un sorriso e un saluto - buoni margini di miglioramento, sapendo quanto il Turismo ormai pesi per il benessere della Valle d'Aosta e dunque se alcuni non lo vogliono fare per convinzione almeno facciano appello ai vantaggi che ne possono derivare. Come si sa, sarei preoccupato da una monocoltura turistica, perché l'economia sana deve far convivere diversi settori, ma è indubbio che il Turismo sia ormai per la Valle un caposaldo, che si regge sul buon funzionamento di una macchina pluridisciplinare con tutti gli attori diretti o indiretti.