Il paesaggio è una delle ricchezze della Valle d'Aosta: confesso che delle volte mi capita o a piedi o in macchina di fermarmi per guardare scorci che non avevo mai visto, come se ci fosse una serie davvero infinita di visuali possibili, oltre a quelle usuali e spesso già amate, perché uno scenario spesso è come un libro aperto da cui si possono leggere tante storie. La definizione più valida del paesaggio è ricavabile dalla "Convenzione europea del paesaggio": «una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni».
Quel "percepita dalle popolazioni" è essenziale, perché contrasta quel filone di pensiero che sembra cogliere l'esistenza di determinati luoghi, prescindendo non solo dall'intervento umano, ma persino dalla centralità dell'uomo nella lettura del territorio.
Da questo punto di vista, contano due cose: la prima è l'amore che si ha per i propri luoghi di vita, che significa apprezzarne e salvaguardarne la bellezza e, se possibile, correggere anche gli errori compiuti (penso alla zona dei capannoni fra Quart e Saint-Christophe all'ingresso di Aosta); la seconda è avere buone leggi che tutelino il patrimonio e lo facciano in maniera intelligente e non con logiche cervellotiche, come lo sono spesso i piani regolatori che sembrano l'enciclopedia britannica. Sono temi di ampia portata, ma io vorrei oggi usare un esempio piccolo piccolo di come si possano salvaguardare determinate situazioni. Mi riferisco ad una legge regionale valdostana del 1956, ancora in vigore, che dovrebbe essere incorniciata per la qualità del suo lessico e per la secchezza dell'articolato, sin dal titolo: "Norme per la limitazione e la disciplina della pubblicità stradale in Valle d'Aosta ai fini della tutela del paesaggio". L'articolo 1 dice: "Ai fini della tutela del paesaggio, nel territorio della Regione Valle d'Aosta è vietato di affiggere e di collocare, senza la preventiva autorizzazione dell'Assessorato regionale per il turismo, scritte, cartelli, insegne e oggetti di pubblicità commerciale o industriale lungo le strade e i sentieri soggetti a pubblico transito o in vista delle strade e dei sentieri stessi. Il divieto si estende anche alle strade statali, alle strade ferrate, ai tratti delle strade e dei sentieri costituenti traverse abitate dei Comuni e dei villaggi di montagna nonché alle zone site in vista delle traverse stesse". In questi anni si è cercato di aggirare questa leggina esemplare in mille modi: mettendo cartelli sotto l'egida della pubblicità comunale lungo le strade, persino piazzandoli - pur illegali - in certe rotonde, si è chiuso un occhio per certa cartellonistica pacchiana, ma l'escamotage più usato ora sono i camion circolanti solo e esclusivamente con grossi cartelloni al posto del cassone. Viaggiano lentissimamente sulle strade per fare la loro propaganda con periodiche soste nelle piazzuole oppure si posteggiano direttamente in parcheggi fronte strada a bella posta. Capisco che ci siano ben più gravi di questa modalità di aggirare la normativa regionale, ma sarebbe bene aggiornare la legge ed evitare che ci sia questa modalità di pubblicità, per altro davvero obsoleta, visto che penso ci siano ben altre modalità per farsi pubblicità. Si tratta di evitare un "inquinamento pubblicitario" che finisca per essere una specie di sfregio - negativo non solo nel suo aspetto pratico ma anche in quello simbolico - in luoghi che già lamentano brutture e incuria. Ha scritto - a difesa della profondità del paesaggio - Augustin Berque: «Le paysage ne se réduit pas aux données visuelles du monde qui nous entoure. Il est toujours spécifié de quelque manière par la subjectivité de l'observateur; subjectivité qui est davantage qu'un point de vue optique. L'étude paysagère est donc autre chose qu'une morphologie de l'environnement. Inversement, le pays n'est pas que "le miroir de l'âme". Il se rapporte à des objets concrets, lesquels existent réellement autour de nous. Ce n'est ni un rêve ni une hallucination; car si ce qu'il représente ou évoque peut être imaginaire, il existe toujours un support objectif. L'étude paysagère est donc autre chose qu'une psychologie du regard…».