Il binomio fra Sport e Montagna è piuttosto recente. Tolti gli sport popolari in zone montane, che spesso erano giochi veri e propri, di cui la Valle d'Aosta ha una significativa sopravvivenza, è con la scoperta della montagna ed il suo sdoganamento che tutto cambiò di prospettiva. Questo vale per l'alpinismo, imbevuto ancora di scoperta scientifica, dalla seconda metà del Settecento, che assume sempre di più una valenza sportiva con il passare del tempo. Ma vale anche per le specialità della neve, con sci alpino e sci nordico, che hanno una specie di "punto a capo" con le Olimpiadi di Chamonix del 1924 per poi diventare un fenomeno di massa e anche di costume. La neve da maledizione invernale diventa benedizione... Le Alpi, che restano l'area test di ogni novità sportiva, ormai sono seppellite da discipline varie e non sempre è facile inseguire le mode: basti pensare - a titolo esemplificativo - l'uso che si fa oggi delle diverse biciclette possibili, che non hanno nulla a che fare con il ciclismo pionieristico. In certi casi la Valle d'Aosta è stata antesignana, come il circuito locale con le gare di "martze a pià", da cui originano diverse discipline - che poi hanno preso la loro strada ed i loro regolamenti - come la corsa in montagna o la specialità nota sinteticamente come "trail".
Mi è capitato di discuterne con Xavier Chevrier, classe 1990 di Nus o meglio di Saint-Barthélemy, grande atleta della corsa in montagna, che viene da una famiglia di sportivi, visto che lo zio materno Attilio Lombard è stato atleta olimpico nello sci di fondo ai Giochi invernali di Sapporo '72, ed è il cugino di Federico Pellegrino, dominatore delle "sprint" nel fondo. Anche Xavier - un ragazzo sempre sorridente e dalla parola pronta, ma anche i piedi non scherzano... - aveva iniziato a fare sport con gli sci stretti, messi ai piedi quando aveva appena quattro anni. Per un decennio ha praticato anche il calcio nelle "giovanili" del Valle d'Aosta, nel ruolo di centrocampista sulla fascia sinistra. Poi è stato assorbito dalla corsa in montagna e corre per l'"Atletica Valli Bergamasche" e dunque non è un professionista come tanti sportivi che fanno parte dei Gruppi sportivi dello Stato. Dopo aver lasciato la scuola - ed oggi ammette di averlo fatto troppo presto - ha lavorato come elettricista ed adesso ha avviato un'azienda agricola in proprio con le patate in quota e la viticoltura in basso sulle orme del papà. Coltiva diverse passioni: Vigile del fuoco volontario, fa parte di una compagnia teatrale in patois e suona le percussioni in due bande musicali. A me è risultato molto simpatico, perché il suo è uno sport duro, ma ancora minore nell'atletica leggera perché non specialità olimpica anche se vincono un sacco di medaglie nelle gare mondiali, dove si guadagna poco e si fatica sul serio, in cui non ci si monta la testa e non si diventa personaggi assillati dal successo, anche se lui ha la sua personalità ben marcata e per vincere si sa che dev'essere così. Credo che sia un bene che, accanto a specialità in cui il doping è ormai come le caramelle e gli sponsor fanno il bello il cattivo tempo, compreso l'influenza maniacale - come nel Trail - su masse di appassionati che diventano quasi maniaci delle attrezzature, ci sia chi fa Sport con la "s" maiuscola. Mi viene in mente Alex Zanardi, diventato atleta paralimpico dopo il tragico incidente stradale che lo ha costretto al taglio delle gambe, quando dice con il suo sorriso: «Ci si può drogare di cose buone... e una di queste è certamente lo sport. Ed è vero che lo sport mette in circolo adrenalina che ci fa sentire bene». Insomma: fra le tante storie che si possono raccontare, quella di Xavier (nell'etimologia del cognome "Chevrier" c'è già la profezia per uno che corre come un camoscio), montanaro dalla testa sul collo, simpatico e non "montato", agricoltore che ama la sua Valle e le sue tradizioni è una bella storia, di quelle che ti fanno capire come i veri campioni sono quelli che sanno vivere bene la loro vita. E vedere le immagini televisive mentre corre nei boschi, con i colori d'autunno e la prima neve, fa capire che nella corsa in montagna non ci sono solo loro - gli sportivi - ma anche gli straordinari scenari in cui si allenano e gareggiano.