La Storia locale offre enormi insegnamenti, perché è facile dimostrare come la Grande Storia - uso le maiuscole per sottolinearne la solennità - finisca poi per essere uno scenario vasto che si deve capire anche con le microstorie e con le interazioni spesso riportate sino a toccare le singole persone. Ci pensavo quest'oggi, reduce da una bella serata a Saint-Vincent sulla Prima Guerra mondiale, in cui diverse voci hanno consentito di ricostruire quegli eventi bellici di un secolo fa - e di questi tempi si era nel pieno del conflitto - che pesarono non poco sulla Valle d'Aosta con un numero di morti, feriti e invalidi di guerra senza eguali per la sua incidenza percentuale nel rapporto con la popolazione dell'epoca.
Quarantotto morti solo a Saint-Vincent, che ebbe anche un record di medaglie al valore per il coraggio dei propri alpini ed il paradosso - che rende appunto la storia di una comunità come un esempio di come gli stessi eventi si irradino con diversi effetti - è che mentre i giovani del paese combattevano nelle trincee e sui monti, dall'altra parte delle Alpi in una guerra di cui poco comprendevano, proprio perché le grandi terme del Nord-Est erano vicine agli scenari bellici e dunque chiuse, la località valdostana fioriva in mezzo al dramma di tante famiglie in una sorta di fine e tardiva "Belle Époque", che finisce per essere simbolo di tante contraddizioni. C'era chi godeva dei benefici delle cure idropiniche mentre il sangue scorreva negli scontri fra soldati.
Essere simbolo: questo può capitare ed è quanto, tornando ad oggi, sta avvenendo per una piccola scuola che ancora sorge nella collina di Saint-Vincent, come una sopravvissuta con un pugno di classi materne ed elementari. Mi riferisco alla scuola di Moron, di cui dirò di più dal punto di vista storico, che è rimasta - pur in presenza di altre scuole nel Borgo del paese - un esempio di "scuola di montagna" sia per la situazione geografica sia perché serve principalmente le molte frazioni di quella che nel dopoguerra - con uno slogan - è stata chiamata la "Riviera delle Alpi". Ebbene, sottoposto ad accertamenti tecnici, poco prima dell'inizio dell’anno scolastico in corso, l'edificio è stato chiuso per precauzione, i bambini sono scesi nelle scuole del Capoluogo ma senza disperdere per ora le loro classi ed il Comune - così è stato scritto - ha chiesto di sistemarla, con diversi livelli di investimenti possibili, con appositi finanziamenti della Regione autonoma, lamentando un'impossibilità di bilancio per un intervento diretto da parte del Comune stesso.
Non so a che punto sia la pratica e quali eventuali accordi politici possano sottendere un esito fortunato, ma l'aspetto simbolico sta nel fatto che quella scuola - anche da parte delle famiglie frequentanti, compresa la mia, visto che i miei due figli grandi ci sono stati ed il piccolo li ha seguiti cominciando la prima elementare - è avvertita come un presidio del territorio, foss'anche da ritenersi una sorta di sopravvivenza del passato, che fonda la giusta esigenza di capire se i molti proclami sulla salvaguardia della montagna e dei suoi abitanti possano avere, in un caso piccolo piccolo ma esemplare, una coerenza fra il dire e il fare.
Sul sito del Comune è Piergiorgio Crétier, storico locale, a ripercorrere la vicenda delle scuole di Saint-Vincent. Va premesso che sul tema è sempre esistito, rispetto a queste scuole di villaggio pian piano colpite dalle riforme scolastiche ottocentesche e poi novecentesche (compresa la scure del fascismo), un dibattito sulla reale portata dell'educazione impartita nelle centinaia di scuole sparse sul territorio. Facendo pulizia delle esagerazioni sugli esiti, resta certo che il livello di alfabetizzazione era in Valle superiore rispetto alla maggior parte delle zone del Regno d'Italia.
Scrive Crétier: «Come e quando sono nate le scuole rurali un tempo presenti nel nostro paese? Per poter rispondere a questa domanda è necessario fare una premessa e ritornare al Concilio di Trento (1545-1563) e alle disposizioni emanate in quella sede. La Chiesa, in quel secolo, stava attuando un grande progetto volto alla riforma della vita religiosa e della disciplina ecclesiastica per controbattere l'avanzata della chiesa protestante. Tra le varie e importanti decisioni prese vi era quella relativa ad una rinnovata evangelizzazione tra la gente e in particolare a quelle persone che abitando lontano dalle grandi chiese o cattedrali erano fragili prede dei mistificatori e imbroglioni. La linea decisa dai Padri Conciliatori era in buona sostanza univoca: la popolazione doveva conoscere le Sacre Scritture in quanto solo l'approfondita conoscenza di queste era garanzia per la salvezza dell'anima. A livello locale possiamo dire che la vicinanza della Valle a Ginevra, patria del calvinismo, era motivo di grande preoccupazione per le nostre autorità ecclesiastiche. Dobbiamo però considerare anche il fatto che la Chiesa valdostana aveva un suo rito particolare e soprattutto dipendeva dalla Chiesa francese di Tarantasia per cui le disposizioni tridentine giunsero da noi solo tantissimo tempo dopo. Ciò nonostante numerosi vescovi, succedendosi al soglio di san Grato ad Aosta, si attivarono affinché alla locale popolazione fosse garantita un'adeguata istruzione, strumento indispensabile per combattere l'eresia. L'istruzione rurale in Valle d'Aosta si deve alla determinazione dei nostri vescovi e in particolare alla decisa opera di Jean-François de Sales. Quest'uomo di origine savoiarda, vera personalità sacerdotale, si attivò fin dal suo insediamento, avvenuto nel 1741, affinché su tutto il territorio regionale fossero istituite scuole; il teorema del pastore si basava sul fatto che gli ignoranti non potevano leggere le Sacre Scritture e conseguentemente non potevano essere buoni cristiani e avere un posto nella Chiesa dei cieli: la salvezza avveniva solo attraverso l'istruzione».
Salto qualche brano: «Nel corso del 1783 venne fondata la scuola di Moron; nel 1800 quella di Perrière, nel 1812 quelle di Grun e di Lenty e infine quella di Amay nel corso del 1818. Tutte queste istituzioni erano rette e gestite da religiosi e il sostentamento economico era ricavato da lasciti specifici, rendite di proprietà ecclesiastiche o con denaro concesso dalle amministrazioni delle cappelle o da istituzioni religiose (ad esempio Le Confraternite del Santo Spirito, eccetera). Esistevano però in altre frazioni del nostro paese scuole non "ufficializzate" ma rette da persone di profonda e provata fede e di discreta istruzione; saltuariamente costoro "tenevano lezione". E' il caso di Glereyaz, del Grand-Rhun, di Torrent-Sec e di Feilley (la cui erezione "ufficiale" è sicuramente da datarsi in epoca successiva a quella delle sedi collinari). Se per il borgo gli idonei locali appartenevano all'Ente Pubblico così non era per i villaggi dove frequentemente i corsi erano tenuti nelle stalle e questo in virtù del fatto che garantivano locali sufficientemente grandi e caldi. Il fatto del riscaldamento ci porta ad altre precisazioni circa il tempo di frequenza degli allievi. Nelle scuole del capoluogo (e questo almeno nei primi anni del XIX° secolo) i corsi avevano una durata pari a dieci mesi mentre in tutte le frazioni (Moron compreso) il ciclo scolastico prendeva avvio ai primi di dicembre per concludersi alla fine di febbraio (epoca in cui la campagna necessitava nuovamente di braccia per le lavorazioni primaverili). Le testimonianze orali ci informano che nel secolo corrente lo scolaro lasciava l'abitazione per recarsi a scuola, munito anche di un ceppo di legno per garantire una certa continuità dell'attività della stufa nell'aula. Escludendo la scuola maschile del borgo (che prevedeva ben sei anni per il completamento del corso) negli altri casi l'istruzione data ai ragazzi si condensava all'insegnamento delle basi dello scrivere (nome e cognome in particolare) mentre il leggere prevedeva la conoscenza dei dettati del catechismo (attraverso una lettura sicura e lineare) e i primi rudimenti di carattere generale sui libri. A tutti erano inoltre impartite lezioni di matematica. Circa la composizione del corpo insegnanti siamo informati da uno scritto, risalente al 1809 e redatto dal parroco Freppaz, che nel borgo l'insegnamento per un lungo periodo fu affidato al sacerdote Michel-Joseph Camos su diretta nomina del vescovo; costui doveva inoltre essere di supporto al parroco durante tutte le funzioni religiose e celebrare messa tutte le domeniche e nelle altre feste di precetto. Nel citato scritto è detto che a Moron la nomina dell'insegnante spettava al villaggio previa autorizzazione del parroco e nel periodo 1805-1809 la cattedra venne occupata dal notaio Ambroise Charbonnier».
Ancora un salto più avanti: «Nel 1858 la Provincia di Aosta vantava il più alto numero di scuole: una ogni 206 abitanti! La situazione generale delle scuole di Saint-Vincent restò immutata fino al piano di laicizzazione della popolazione scolastica, conseguente alla riforma Gentile, che portò alla riduzione, e poi all'annientamento, di tutto il sistema delle vecchie scuole di montagna in questo e in altri paesi valdostani. Sarà ancora il clero (e per tutti ricordiamo l'opera dell'abbé Trèves) a ergersi come unico difensore delle scuole dei villaggi denunciando il "furto odioso" che lo Stato perpetuava ai danni delle comunità. Purtroppo la povertà della popolazione, il cambiamento delle abitudini e il progressivo spopolamento della montagna diedero fine ad un grande e realizzato sogno».
Ringrazio Piergiorgio per questo suo testo "rapinato". L'Autonomia speciale del secondo dopoguerra ha consentito qualche inversione di rotta ed ancora oggi restano scuole in montagna con pochi bambini, ma il caso di Moron - scelta anche da genitori del fondovalle per la qualità della vita garantita ai bambini e rimasta l'unica scuola di villaggio a Saint-Vincent - finisce per essere interessante e, come osservavo prima, cartina di tornasole di volontà politiche. Anche per questo ho aderito alla neonata "Associazione Scuola di Moron".