Alla fine di certe vicende non si capisce più niente e magari ci si sente persino in colpa per aver creduto a ricostruzioni e anticipazioni risultate, alla resa dei conti, infondate nella loro gravità. Mi spiego meglio: non conosco le carte processuali che hanno portato all'assoluzione dell'ex presidente del Piemonte Roberto Cota ed alla medesima decisione per l'ex sindaco di Roma Ignazio Marino ed alla conseguente sconfitta dei Pubblici ministeri che li avevano accusati e portati in Tribunale in un clima che prima e dopo il rinvio a giudizio era già stato di gogna pubblica e di giustizia sommaria a mezzo stampa.
Certo è, infatti, che il primo è stato per anni uno zimbello per l'acquisto di mutande verdi (colore della Lega, suo partito) che lo hanno portato - diventando simbolo di una politica ridicola - sino al processo con sentenza a sorpresa a suo favore. Intanto Cota ha perso la Presidenza per una storia di firme false per la presentazione delle liste elettorali ma certo pesava anche la vicenda dell'acquisto ed era uscito dalla politica per l'ingiusto sospetto, al limite del fumus persecutionis, di chissà quali malefatte. Marino, invece, si era dimesso da sindaco - lavoro per cui non era certo dotato, ma questo non c'entra - per analoga spinta mediatica, scaturita anch'essa principalmente da supposte irregolarità in pasti consumati con denaro pubblico, che avevano, come nel caso precedente, sancito come conseguenza una sorta di condanna preventiva emessa dal sistema informativo, risultata ora infondata per il magistrato che ha giudicato il caso nel merito. Non voglio fare l'avvocato difensore, ma segnalare qualche problema. Anzitutto le diverse impostazioni che la Magistratura ha verso i politici, a seconda dei giudici che la interpretano. Ci sono zone in cui lo zelo è eccessivo e l'incidenza delle decisioni dei magistrati agisce come macigni sulla schiena di chi faccia politica ed amministrazione con il rischio che si generalizzi una specie di partito preso verso chi fa politica. Ci sono poi "isole felici" di manifesta impunità, dove - a fronte di vicende di dominio pubblico - vige nell'azione penale un atteggiamento distratto che crea una sgradevole impressione che finisce per accrescere la sfiducia dei cittadini onesti e chi concepisce la politica con correttezza rischia pure di passare per fesso, se non fa parte delle cricche. La soluzione dovrebbe essere una giusta via di mezzo e una certa uniformità che sia per tutti una garanzia di rispetto delle regole. Esistono poi paletti più chiari da piantare per il mondo dell'informazione, anch'essa chiamata a due doveri. Il primo è l'inaccettabile generalizzazione di questi anni che ha portato a mettere all'indice chiunque facesse politica, senza mai distinguere - a difesa della democrazia e non dei singoli - fra onesti e disonesti e, già che ci siamo, fra capaci e incapaci. Fare di ogni erba un fascio è una scelta stupida e pericolosa. Così come non è accettabile in generale, ma con un occhio di riguardo ai politici, che si sia sostituita alla necessaria e puntuale informazione sui fatti la costante scelta di troppi giornalisti di fare il lavoro dei giudici non solo nelle inchieste - e questo ci può stare - ma anche emettendo giudizi che spesso sono plotoni d'esecuzione irreparabili per la dignità delle persone implicate. Ad ognuno il suo mestiere, anche se va detto che pesa sempre il fatto che i tempi della Giustizia sono troppo lunghi e certe prescrizioni - anche a vantaggio di politici - consentono a chi è indegno di tornare nel giro come verginella. Temi non facili, certamente, ma resta vero che alla fine quel che conta è proprio l'equilibrio fra i poteri vecchi e nuovi che tengono in piedi la complicata costruzione della Democrazia.