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10 ott 2016

La montagna dà e prende

di Luciano Caveri

Scrivo qui a fianco della morte di due giovani che conoscevo, stroncati da una tragedia alpinistica. Non torno sul loro profilo personale, che ho tracciato con brevità a caldo ancora stranito dall'evento, ma penso e partecipo al dolore indicibile dei loro cari, perché sia chiaro che quando la morte colpisce così è una prova difficile per tutti, qualunque sia il pensiero di ciascuno di noi, credente o laico, di fronte al mistero di certi fatti che colpiscono - con ferocia - persone, famiglie e comunità tutte intere. E' una di quelle occasioni luttuose in cui lo spirito montanaro dei valdostani ha come un sussulto e una partecipazione emotiva molto forte: avviene che le radici alpine più profonde tornano in superficie nel rapporto con questa montagna che ci attornia che dà e che prende e nella partecipazione alla sofferenza di chi resta e al quale non si può far altro che offrire conforto nel ricordo di due ragazzi sorridenti che resteranno nella nostra memoria. Un incidente - pare una scarica di sassi che ha colpito i due in cordata - che avviene in questa stagione in cui le montagne spiccano ancora di più anche dal fondovalle, con quella natura che assume colori che consentono alle vette spoglie e rocciose di conquistare la loro posizione svettante nel cielo azzurro e pure in certi tramonti colorati che danno il senso della stagione che declina, specie al tramonto che resta l'immagine più evidente della vita che si spegne verso il buio.

Immagino che scalando il Cervino, benché abituati a farlo, i miei amici abbiano goduto di questa Natura in una stagione come l'attuale in cui la montagna diventa più intima, senza le folle estive. Come se noi valdostani tornassimo ad una dimensione domestica dei nostri spazi di vita e anche le montagne che ci attorniano sono in qualche modo più familiari. Quelle montagne che a Bepi De Marzi, che divenne alpino alla "Scuola Militare Alpina" di Aosta, hanno ispirato la celebre "Signore delle cime":

«Dio del cielo, Signore delle cime, un nostro amico hai chiesto alla montagna. Ma ti preghiamo: su nel Paradiso lascialo andare per le tue montagne.

Santa Maria, Signora della neve, copri col bianco, soffice mantello, il nostro amico, il nostro fratello. Su nel Paradiso lascialo andare per le tue montagne».

Ma ricordo che sia Gérard che Joël amavano - da valdostani quali erano, fieri delle loro radici - il francese e come non ricordare una bella poesia, "Les Yeux", di René-François Sully Prudhomme.

«Bleus ou noirs, tous aimés, tous beaux, Des yeux sans nombre ont vu l'aurore; Ils dorment au fond des tombeaux Et le soleil se lève encore.

Les nuits plus douces que les jours Ont enchanté des yeux sans nombre; Les étoiles brillent toujours Et les yeux se sont remplis d'ombre.

Oh! Qu'ils aient perdu le regard, Non, non, cela n'est pas possible! Ils se sont tournés quelque part Vers ce qu'on nomme l'invisible;

Et comme les astres penchants, Nous quittent, mais au ciel demeurent, Les prunelles ont leurs couchants, Mais il n'est pas vrai qu'elles meurent.

Bleus ou noirs, tous aimés, tous beaux, Ouverts à quelque immense aurore, De l'autre côté des tombeaux Les yeux qu'on ferme voient encore».