Non ho ancora capito chi sia esattamente la sindaca di Roma Virginia Raggi, uscita vincitrice dalle urne sulle rovine dei suoi predecessori. Una scelta di rottura dei romani che ha un suo perché, anche se poi la goffaggine del primo cittadino della Capitale rischia di vanificare il risultato elettorale. Naturalmente non è solo colpa sua ma di quel complesso meccanismo di controllo, che nulla ha a che fare con le Istituzioni, messo in piedi dai "Cinque Stelle". Certo è che si avverte con chiarezza un certo snobismo della Raggi verso l'Assemblea capitolina, come se il Consiglio comunale fosse una specie di appendice poco importante del sistema municipale. Ma la polemica più interessante deriva da una richiesta di maggior privacy della sindaca, che si sente pressata dai giornalisti, mentre chiede spazi personali non occupabili.
La capisco bene, ma certe sue espressioni su "Facebook" non sono condivisibili. Mi spiego meglio: «Buongiorno a quei poveri giornalisti che aspettano ore e ore sotto casa mia... Cosa vi hanno ordinato di "catturare" oggi? Un dito nel naso, i capelli fuori posto, mio figlio che magari fa i capricci per dire che sino una madre snaturata? Mi fate un po' pena a dir la verità: tutta la vostra vita passata ad aspettare che qualcuno "inciampi"...», scrive Raggi in un post polemico. «Forse siamo già al giornalismo 3.0?», si chiede. Per poi concludere: «Ad ogni modo, se faccio presto, oggi butterò l'immondizia: state pronti! Sia mai sbagli bidone, potete vincere il Pulitzer!». Non è che abbia del tutto torto: ad esempio le foto della Raggi in costume da bagno sul "Messaggero" potevano di certo essere evitate, anche se esaltanti la bellezza delle sue forme. Però, tranne queste cadute di stile, va sottolineato come chi finisca per occupare un posto di tanta responsabilità deve avere in mente due cose. La prima è che non ci sono confini così certi fra pubblico e privato, per cui sarà vero che c'è del "giornalismo spazzatura" fatto di voyeurismo, ma è anche vero che l'inseguimento della sindaca deriva dal fatto che - in barba alla famosa trasparenza - è risultata piuttosto parca di notizie in passaggi essenziali dell'incerta vita amministrativa che ha intrapreso, disseminata di gaffes su cui non si poteva tacere. Meglio sarebbe, in certe circostanze, evitare filmatini sui "social" ed affrontare i giornalisti, che invece devono mendicare dichiarazioni. Situazione - questa sì! - umiliante per chi fa seriamente la sua professione. La seconda considerazione è che troppo spesso la sindaca, a vantaggio del proprio privato, ha snobbato appuntamenti pubblici imperdibili per chi faccia il primo cittadino. Va bene dover allevare il proprio figlio, ma certe posizioni apicali obbligano ad un impegno senza troppe deroghe, perché ne va del ruolo istituzionale. Tutte cose che vanno ponderate quando si accetta una candidatura di questo livello. Vedremo il proseguo: quel che davvero non va bene già nelle premesse è l'idea del complotto dei poteri forti a fronte di autogol, che nulla hanno a che fare con forme più o meno esistenti di complotto. Il "complottismo" resta una malattia infantile, a meno di avere prove di persone e circostanze che ne dimostrino la fondatezza.