Ieri ho fatto una digressione perché - per una volta - non me la sentivo di scrivere a caldo. Sapete la ragione? In queste settimane, a fronte delle luttuose azioni degli islamisti radicali, ho assistito ad un crescendo in tutte le persone con cui parlavo - compreso me stesso in cuor mio - di fiammate di rabbia e di livore che mi hanno fatto scattare un allarme contro il "diavoletto" che alberga in ognuno di noi. Penso di essere una persona ragionevole e tollerante, ma detesto il "politicamente corretto" ed il tentativo di camuffare la realtà quando non ci piace. Ogni operazione verità tende ad aiutarci a raggiungere quella franchezza che serve a fare in modo che il confronto avvenga sulla realtà e non su immagini edulcorate o manomesse. Per cui, come i conati di vomito, anche a me capitano istinti violenti e pure xenofobi su cui devo lavorare per contrastare la rabbia e la collera.
In queste ore ho molto guardato a Papa Francesco - sempre pronto ad intervenire anche senza troppe logiche protocollari e allontanandosi volentieri da scritti preordinati - dopo la morte del vecchio prete a Rouen, sgozzato come un agnello nella sua chiesa. Ha taciuto a lungo ed il suo, in certe circostanze, è stato un silenzio assordante. Non mi si dica, per favore, che lo ha fatto, per lui, il portavoce del Vaticano, perché certi temi prevedono la sua voce e non dichiarazioni anodine di circostanza. Ieri pomeriggio, in viaggio per Cracovia per la "Giornata mondiale della Gioventù", si è espresso infine con i giornalisti sull'aereo in volo. Lo ha fatto con attenzione e dosando le parole con dichiarazioni che sono state così virgolettate: «Parlo di guerra, parlo di guerra sul serio, non di guerra di religione. La guerra per interessi, per i soldi, per le risorse della natura, per il dominio dei popoli. Ma non di religione, tutte le religioni vogliono la pace, la guerra la vogliono gli altri» aggiungendo alla fine «capito?», come un rafforzativo e per evitare forzature del suo pensiero. A ben pensare, era difficile aspettarsi di più e lo si era capito per tempo dal silenzio sul punto anche sui profili papali sui "social", certo non gestiti direttamente dal Pontefice, ma l'assenza di commenti a caldo era un calcolo che mirava a raffreddare gli animi, mettendoci tutta la cautela necessaria. E' il suo mestiere un "mestieraccio" in cui mette a repentaglio la sua vita proprio per mano degli islamisti, che non vedono l'ora di avere un Papa morto come trofeo per il loro popolo di zombie. Sia chiaro, dunque, che le dichiarazioni pubbliche di voce papale sono buone per calmare gli animi e evitare che gli incendiari islamisti ne approfittino per far scoppiare un caos ancora più grande con una escalation di violenza di cui non penso davvero ci sia bisogno. Tuttavia è evidente che dire che le religioni, nel senso di loro interpretazione e non in senso assoluto, siano solo ispirate alla pace e che non ci sia un côté religioso negli eventi in corso non è la verità. Perché purtroppo nel mondo - che poi questo avvenga per eccessi ideologici legati a fanatismo e integralismo - le religioni seminano non solo amore ma anche l'odio e non mi si dica che si tratta di una storia nuova, ma antica come mai e i cristiani ne hanno subite ma anche fatte. Dirsi le cose - anche brutalmente quando necessario- aiuta a capire gli eccessi e a punirli con tutti gli strumenti a disposizione. Perché ad azione ci dev'essere reazione e certo queste rispose devono essere ragionevoli, perché è troppo facile ragionare con le trippe e non con il cervello. Volessi seguire il filone populista per assecondare gli eccessi è facile da farsi: si brandisce un cappio, si invocano i roghi, si aprono le porte delle galere, si piombano le frontiere, si gioca sul vecchio refrain dell'amico-nemico, se non del Barbaro. Affrontare le cose con raziocinio è più difficile, ma sulla distanza non c'è alternativa, ma neppure vale l'idea che gli sconti o la pelle di salame sugli occhi servano, come si è fatto con le persecuzioni dei cristiani d'Oriente.