Si avvicinano i settant'anni dalla nascita del Casinò di Saint-Vincent (o più propriamente "de la Vallée"), casa da gioco aperta - con il timore che quella sera intervenisse il Ministro dell'Interno Mario Scelba per chiuderlo - dal presidente della Valle Séverin Caveri nel marzo del 1947 e che per molto tempo è stata una "gallina dalle uova d'oro" con i suoi chiari e i suoi scuri, come certi scandali che scoppiarono alla sua ombra. Credo di conoscere bene la storia di questa intuizione, che si fece largo nei primi anni dell'Autonomia, quando non c'era neppure lo Statuto attuale e che diede risorse finanziarie importanti in anni in cui le casse regionali erano desolatamente vuote (come sta ormai avvenendo oggi con la situazione del riparto fiscale in picchiata). Per questo seguo con curiosità le nuove pagine che si stanno scrivendo, ormai al capezzale di un malato grave, che si dà per rinato appena la febbre perniciosa si sposta di un grado centigrado, ma l'encefalogramma appare ancora desolatamente piatto.
Chi guarda le cose con realismo - e pure fuor di metafora, ma con i bilanci in mano - sa che le cose vanno male, malgrado il personale abbia digerito dei tagli che altrove sarebbero stati impensabili e malgrado certi prestiti fra partecipate regionali ("Cva" verso Casinò attraverso "Finaosta") su cui la Corte dei Conti sta cercando di appurare se di mutui si parlasse o ci fosse invece una contribuzione a fondo perduto. Ora la politica valdostana, nel programma del nuovo Governo che poi è sempre lo stesso malgrado il lifting, ha messo fra i punti quello della privatizzazione, cioè di un ritorno alla logica di una concessione sul gioco data dalla Regione, come avvenuto per la gran parte del tempo da quando le sale furono aperte. Tema spinoso, perché le procedure per giungere a questa soluzione non sono semplici, come dimostrato dal caso di Venezia, dove il bando europeo apposito alla fine è caduto nel vuoto, perché i Casinò italiani in questa fase non sono per nulla allettanti per chi voglia fare un'operazione di investimento e non altro. Se non c'è riuscito il Comune lagunare, con il giro di milioni di turisti che hanno, allora vuol dire che chi fa le cose semplici non sa di cosa parla. Così come fa sorridere addirittura la pubblicazione sui giornali del nome gruppo di Las Vegas ("MGM Mirage" di proprietà del magnate multimiliardario statunitense di origini armene Kirk Kerkorian) che dovrebbe venire in Valle e chi lo spiffera forse non si rende conto di prefigurare, dando già certe indicazioni così precise, una possibile turbativa d'asta. Personalmente non sono contrario ad ipotesi future di una gestione privatistica: ricordo che la gestione pubblica avvenne sull'onda dell'emergenza e per scongiurare il rischio assai reale - specie se certi contenziosi in Tribunale fossero finiti male - di chiusura improvvisa della Casa da gioco. Già allora c'era chi, come i famosi fratelli Lefebvre che subentrarono nella proprietà della "Sitav" ai soci originari, spingevano per tornare in campo con alcuni politici valdostani di tutti i colori che li assecondavano moltissimo affinché ciò avvenisse, compreso chi pare che all'epoca si sia goduto un viaggetto ai Caraibi sulle navi da crociera del gruppo. Credo che chi, invece, si dimostrò contrario, me compreso, avesse ragione e certi apprendisti stregoni, specie chi si trovasse oggi ad occuparsi in qualche modo del dossier, dovrebbe avere accortezza nel farlo perché il tema è molto spinoso dal punto di vista giuridico e chi lo segnala non lo fa per "rompere le scatole" a vuoto, ma a tutela di un bene della comunità da non buttare nell'immondizia. E comunque aveva ragione chi - ad esempio sui costi e sulla qualità dei lavori eseguiti al Casinò e al "Billia" - riteneva utile che il Consiglio Valle accendesse qualche faro per capirne di più. Chissà che un giorno non avverrà. Insomma: le strategie oggi cambiano a secondo del vento che tira. Par di capire che la gallina dalle uova d'oro sia ormai stata spennata del tutto e sia pertanto venuto il tempo di liberarsi del cadavere prima che puzzi troppo. E la via, da prestigiatori, è quella di una bella discontinuità, specie con l'approssimarsi delle elezioni regionali del 2018. Finito il tempo dell'ottimismo costi quel che costi, ora - con aria pensosa e piglio manageriale - si cerca qualcuno cui scaricare la "patata bollente", immaginando che questo darà respiro alla politica, evitando così che certe responsabilità finiscano al vaglio dell'elettore, che si immagina poter essere abbacinato dalla privatizzazione come rimedio definitivo contro la malattia terminale. Verrebbe da dire, se non apparisse blasfemo o segno di una rassegnazione cui non attenersi, «Amen».