Quanti pensieri mi sono passati in testa di fronte all'attacco feroce di ieri nella mia amata Bruxelles con luoghi cari trasformati in un campo di battaglia per mano di pazzi che si nascondono dietro ad una religione trasformata in paranoia pericolosa, che sembra però penetrare come un veleno in tanti giovani che dovrebbero, per nascita e anche per il contesto culturale, sentirsi saldamente europei. Ed invece hanno saltato il fossato e militano contro i luoghi natii nel nome di radici ritrovate, ma agitando una bandiera nera macchiata di sangue di tanti innocenti. Parecchi anni fa lessi "Il libro nero del Cristianesimo" scritto da Jacopo Fo, Sergio Tomat e Laura Malucelli.
La premessa era politicamente corretta e diceva: "Credo che dobbiamo in gran parte al Cristianesimo se oggi il mondo ci appare meno inumano, sadico e violento che in passato. Per duemila anni, milioni di credenti hanno cercato in ogni modo di testimoniare la parola di pace e amore che Gesù ha predicato. Si vedevano credenti al capezzale dei malati, a raccogliere orfani per strada, a curare i feriti dopo le battaglie e i saccheggi. C'erano cristiani come San Francesco a dare un tetto e conforto ai divorati dalla lebbra e cibo a chi moriva di stenti. E molti come lui attraversavano le prime linee delle battaglie per cercare di porre pace tra gli eserciti. C'erano fedeli a soccorrere i superstiti delle inondazioni, dei terremoti, delle carestie. C'erano cristiani a cercare di porre un limite alla brutalità verso gli schiavi e i servi della gleba oppressi dai "possessores". Cristiani che si esponevano in prima persona pur di ottenere la grazia di un innocente condannato senza prove, solo a causa della follia del fanatismo religioso. Si son visti sacerdoti costruire comunità di indios e morire insieme a loro quando i conquistatori cattolici decidevano che riunirsi in comunità egualitarie e non pagare le tasse costituiva un crimine contro Dio e la corona. Furono sacerdoti a creare cooperative e scuole per i lavoratori, a organizzare le casse di mutuo soccorso, a far fuggire ebrei e zingari perseguitati...". Poi in una dozzina di capitoli successivi si tracciava, dalle origini al giorno d'oggi, un percorso irto di tragedie: dalle stragi ai crimini, dalle Crociate alla lotta alle eresie, dall'Inquisizione al colonialismo, dalle decisioni affaristiche alle lotte di potere. Un quadro poco edificante di una Fede sbandierata anche a favore del Male e non, come si dovrebbe, del Bene. Se il libro, che risale al 2000 ma venne aggiornato nel 2005, dovesse essere riscritto oggi ci sarebbe qualche capitolo poco edificante da aggiungere, pensando a certi eventi in Vaticano, ma il contraltare è oggi la terribile e crescente persecuzione dei cristiani in molti Paesi del mondo. E, comunque e complessivamente, il messaggio cristiano è solidamente legato a valori e ideali che nessuno può negare. La stessa cosa non si può dire nella modernità e non nel passato - e lo scrivo oggi dopo gli orrori di Bruxelles, cui ho reagito ieri mattina con il pezzo sottostante - per l'Islam che si sta radicalizzando e sembra flebile in troppi fedeli moderati di questa religione una reazione forte e chiara su certi crimini verso l'umanità. Nulla può giustificare la scia di sangue che gli jihadisti perseguono e non caso ieri i siti Web di questi fanatici esultavano dopo le esplosioni e le relative stragi all'aeroporto di Zaventem e alla stazione della metro di Maelbeek. Luoghi per me molto familiari e pieni di ricordi e questo ha acuito la partecipazione e il dolore e anche - diciamolo - una rabbia crescente per un senso di impotenza verso certi mostri che meritano il peggio possibile. Già mesi fa, quando lo stillicidio di brutture islamiste aveva raggiunto il colmo, diceva in sintesi Massimo Cacciari: «L'Europa e l'Occidente dovrebbero reagire come si reagisce quando vieni attaccato sul tuo territorio. Ci vogliono una strategia politica, una strategia diplomatica, una strategia di intelligence. C'è bisogno che l'Europa dia una risposta unitaria, precisa, definita e convinta». Concordo, ma sembra mancare nell'Unione europea una leadership autorevole.