Quando si parla degli Stati Uniti - e può capitare partendo dalle discussioni con gli amici sino ai livelli più elevati del confronto politico - è eclatante il fatto che ci sia sempre, senza neppure una necessaria collocazione in area antagonista, un "filone antiamericano" molto corposo. Per cui se ci azzarda - e io mi azzardo - a ricordare la profondità della democrazia americana ed i pregi di certi aspetti del federalismo statunitense mi vedo rovesciare addosso di tutto: dalla società iniqua al sistema sanitario feroce, dall'imperialismo aggressivo alla violenza sul confine messicano, dalle multinazionali voraci alle lobbies che tutto avvolgono e potrei continuare un elenco di nefandezze che sento dai tempi del Liceo.
Capisco tutte le posizioni e le rispetto: nulla c'è di perfetto e sono certamente molti i problemi che affliggono gli Stati Uniti e troppo mitizzare questo Parse e considerarlo un "Eden" sarebbe ridicolo, ma segnalo che gli States sono rimasti e godono di buona salute, mentre molti sistemi alternativi o presunti tali sono svaporati. In un'intervista, Albert Einstein, fuggito in America dalle persecuzioni tedesche contro gli ebrei osservava: «Ancor più degli europei, gli americani vivono per i propri obiettivi, sono proiettati verso il futuro. Per loro, la vita è sempre in divenire, mai in essere... Sono meno individualisti degli europei... mettono l'accento più sul "noi" che sull'io». Risulta coerente quanto detto in un discorso da Barack Obama: «Non c'è un'America progressista e un'America conservatrice, ci sono gli Stati Uniti d'America. Non c'è un'America nera e un'America bianca, un'America latina e un'America asiatica: ci sono gli Stati Uniti d'America». Certo, in quest'ultima affermazione c'è molta retorica, ma questo fa parte dell'americanismo e cioè di quel sentimento ammirativo, che è l'esatto contrario dell'anti-americanismo. Ci scherzava lo scrittore Mario Soldati: «L'America non è soltanto una parte del mondo. L'America è uno stato d'animo, una passione. E qualunque europeo può, da un momento all'altro, ammalarsi d'America». Fra gli opposti estremismi ci può essere certamente una posizione ragionevole e mediana. E comunque non si può prescindere dal seguire quanto avviene negli Stati Uniti (e fa sorridere che, in vecchi documenti pubblicati da "WikiLeaks", si sia dimostrato che anche la Valle d’Aosta venisse seguita dai Servizi americani e di certo lo è ancora). Oggi quel che interessa è lo scontro per le Presidenziali: scontato in campo democratico il successo di Hillary Clinton, che penso potrebbe diventare la prima Presidente donna, dopo un nero, alla "Casa Bianca", mentre il miliardario Donald Trump, del tutto fuori dagli schemi, dovrebbe diventare - tranne fatti clamorosi - l'inaspettato candidato dei Repubblicani (conosco anche un supporter valdostano, ammiratore da tempo anche di Sarah Palin, ex governatrice dell'Alaska ed una dei leader degli ultraconservatori). Trump dimostra - e poi ognuno nel merito può pensare quel che vuole e certo a me non piace - la vitalità della democrazia americana e la possibilità che spuntino d'improvviso personalità pur bizzarre non prevedibili, ma che evidentemente hanno trovato una chiave di lettura, come potrebbe essere il populismo, a vantaggio di una parte cospicua dell'elettorato. Il complesso sistema federalista americano, che funziona davvero nel rispetto della democrazia locale, ha scelto al vertice quella regola ferrea di un Presidente che dura solo due mandati e poi sparisce dall'agone politico. Ciò ha permesso di evitare che qualcuno si attaccasse alla poltrona e si manifestassero tentazioni d'autoritarismo, sgonfiate sul nascere dai quattro anni di mandato, rinnovabili solo per altri quattro.