Confesso di essere stato spiazzato dalle vicende che stanno portando ad una rivoluzione nel settore della carta stampata in Italia, che poi ormai significano anche l'informazione in Rete e soprattutto la pubblicità. Chiunque faccia il giornalista, ma anche tutto il mondo della politica, deve legittimamente interrogarsi sul senso e sulle ricadute dell'operazione. Ha scritto "Prima Comunicazione", vangelo nel settore dell'Informazione: «L'Editoriale L'Espresso alla fine dell'anno necessario per mettere a punto la fusione, diventerà un gruppo da 750 milioni di euro di fatturato in grado di coprire la penisola con "Repubblica", grande quotidiano nazionale con redazioni in nove città, a cui si aggiungono le diciotto testate locali della "Finegil" (diciassette quotidiani ed un trisettimanale) e "La Stampa" con le sue oltre 160mila copie diffuse a livello nazionale, la sua capillarità in Piemonte e nel Ponente della Liguria, regione dove testata leader è il "Secolo XIX"».
«Complessivamente - prosegue l'articolo - il nuovo gruppo editoriale potrà contare quotidianamente su circa 800mila copie di diffusione e su 5,8 milioni di lettori. A cui si aggiungono una potente presenza digitale di 2,5 milioni di utenti, i periodici, ed "Elemedia" con il suo network radiofonico in cui primeggia "Radio Deejay". Un gruppo che si presenta con i conti in ordine, a partire dai dati dei bilanci 2015. Un risultato netto positivo di 17 milioni di euro, il doppio dell'esercizio precedente, per l'Editoriale L'Espresso, perla rara nel sofferente scenario dell'editoria italiana, con i suoi ricavi consolidati a 605,1 milioni, anche se in calo rispetto al 2014 del sei per cento, per effetto della diminuzione delle diffusioni (-6,4 per cento) e della pubblicità (-4,2 per cento). Mentre "Itedi", nata il primo gennaio 2015, dopo la fusione tra l'Editrice La Stampa e la "Sep" (editrice del "Secolo XIX") dopo tagli e sinergie tra le due testate, ha chiuso il suo primo anno di vita con il bilancio il leggero attivo ed una buona ricapitalizzazione, condizione ideale per presentarsi al futuro matrimonio". Tutti pensavano che gli eredi Agnelli avrebbero integrato a "La Stampa" il già loro "Corriere della Sera" ed invece la realtà è che "Fiat", oggi "Fca", lascerà "Rcs" dopo averla portata in cattive acque ed ha, invece, ceduto all'ingegner De Benedetti - un tempo odiato dall'Avvocato Agnelli - la "Busiarda", come i piemontesi chiamano scherzosamente il quotidiano piemontese. Cosa ci guadagna e che cosa ci rimette la Valle d'Aosta? Evitiamo di infilarci troppo nel legame storico della famiglia Agnelli con la Valle d'Aosta. In soldoni "Fiat" pesò nel dopoguerra nei destini istituzionali della Valle, preziosa per la sua energia elettrica e poi, per molti anni, - oltre ad aver messo lo zampino nello sviluppo di Cervinia - alcune fabbriche locali facevano parte del sistema dell'indotto (resta solo la fabbrica di componentistica al magnesio di Verrès). Famosa è stata anche l'operazione di cessione dei vasti terreni dove c'è oggi il "Parco del Monte Avic" e le Olimpiadi di Torino vennero offerte ad una compartecipazione valdostana, che venne rifiutata, ma che arrivava sempre dall'entourage degli Agnelli. Nel settore informativo, morta la "Gazzetta del Popolo", la nascita e crescita della redazione aostana de "La Stampa" fu un segno dell'importanza delle "Province", compresa la nostra Regione autonoma, mentre il "Corrierone" si è occupato della Valle con raro interesse. La Repubblica ha usato perlopiù sulla Valle la redazione torinese, mentre l'idea - che seguii tanti anni fa - di fare una "Sentinella della Valle d'Aosta" come versione valdostana della "Sentinella del Canavese" della "Finegil" mai arrivò in fondo e restano solo alcune pagine valdostane sul trisettimanale di Ivrea. Il matrimonio con "La Repubblica" porterà ad un rimescolamento e pure - facendo le corna - a certe chiusure delle redazioni locali? Non è un interrogativo banale, visto il ruolo che "La Stampa" ha acquisito nel tempo nel panorama informativo della Valle e la fucina che è stata ed è di giornalisti valdostani. Sul piano nazionale - a tutela del pluralismo informativo - conterà molto chi controllerà "Rcs" e cosa "La Repubblica" se ne farà de "La Stampa" e del "Secolo XIX".