A poche ore dal terribile rogo del marzo del 1999 dentro il traforo del Monte Bianco, trasformato in un letale Inferno dantesco, scriveva in una cronaca drammatica, sul "Corriere della Sera", Stefano Montefiori: "Quattro vigili muniti di bombole d'aria hanno allora raggiunto il rifugio 21 (una delle cabine pressurizzate di soccorso presenti al fianco della carreggiata), e da lì il rifugio 22, 23 e 24. Qui hanno rischiato di morire. Finita l'aria nelle bombole, bloccata la porta, si sono trovati bloccati in un punto dove la temperatura continuava a salire, il fumo era ormai densissimo e le strutture della cabina cominciavano a cedere. Sono stati salvati dai compagni, che li hanno raggiunti tramite le condotte d'aria sotterranee e riportati fuori sempre grazie ai cunicoli. Due di loro, Dionigi Glarey e Elio Marlier, hanno raccontato: «E' stato un inferno, il fumo impediva di vedere anche a distanza di pochi centimetri, il calore insopportabile. Era una cortina di fumo impenetrabile, abbiamo avuto veramente paura. E poi si continuavano a sentire degli scoppi seguiti da forti rumori, come se qualcosa di enorme stesse crollando». «E' una cosa indescrivibile», hanno raccontato i due vigili del fuoco, che sono riusciti a raggiungere l'uscita solo attraverso i cunicoli di ventilazione e percorrendo a piedi circa quattro chilometri».
Elio Marlier, che ci ha lasciato in questi giorni dopo aver combattuto - come da suo carattere - contro un tumore, oggi risposa in pace, ma fu all'epoca uno dei protagonisti della difficile e pericolosa battaglia che quel giorno si consumò in quell'incredibile vicenda, fatta di sincronismi letali che - come un puzzle diabolico - crearono una la più grande tragedia avvenuta in un tunnel stradale. Fu Elio a capire che per salvare i compagni prigionieri nel rifugio bisognava interrompere il flusso dell'aria, penetrare nel cunicolo e aprire dall'esterno l'apertura - unica manovra possibile - per poi fuggire verso l'imboccatura del tunnel. Vicenda orribile ma istruttiva, quella tragedia di quel tempo, che obbligò a grandi ripensamenti, visto che i fatti causarono la positiva regolamentazione delle misure di sicurezza a livello europeo (dossier che seguii personalmente a Bruxelles). Ma che ebbe risultanze processuali nel complesso piuttosto deludenti, non perché si dovesse cercare ad ogni costo qualche capro espiatorio, ma perché qualche domanda sulla dinamica è rimasta confinata nella fatalità degli eventi. Elio ebbe un comportamento eroico, come altri, in quella situazione terribile e dimostrò, anche per il salvataggio della squadra, quella che sarebbe dovuta essere la strada maestra e cioè collegare le zone securizzate - molto più resistenti al fuoco di quanto fossero quelle preesistenti - con il sistema di aerazioni come percorso di salvezza verso l'uscita e questo fu il principale lavoro di modernizzazione con rifugi finalmente davvero antifuoco. Divenne non a caso, proprio per la perizia dimostrata, responsabile della sicurezza del Tunnel, che oggi è sicuro rispetto alle troppe incertezze precedenti alla carneficina del 1999. Ricordo la sua calma e la sua pacatezza, ma anche la capacità di decidere e di imporsi quando necessario, in occasione di quelle esercitazioni, cui partecipai nelle vesti di presidente della Regione, che cercavano di ricostruire scenari credibili e estremi rispetto a situazioni che davvero potessero crearsi dentro la galleria. Certe simulazioni, assieme al mantenimento costante delle misure di sicurezza dentro il tunnel anche quando una certa tensione rischia di venir meno perché la routine si affaccia, sono necessarie per coordinarsi quando fatti reali dovessero presentarsi e sono situazioni costruite fittiziamente che vanno prese - ed Elio lo ripeteva - con grandissima serietà. Ma lo faceva dimostrando anche senso dell'umorismo e capacità di sdrammatizzare con quel senso dell'ironia che gli era proprio e che ci mancherà. Fatemi aggiungere una cosa: il caso di Marlier dimostra - avendo messo un valdostano in un incarico di responsabilità - che anche da noi, piccolo popolo che siamo, esistono competenze e professionalità che troppo spesso noi stessi dimentichiamo, a vantaggio di ridicole forme di "esterofilia", magari per piccole liti che ci dividono o per inutili complessi d'inferiorità. Invece è nostro dovere vagliare le persone locali che dimostrano eccellenza non in una logica di chiusura che sarebbe ridicola ed infantile, ma perché vale esattamente l'inverso. Il sorriso coi baffi di Elio ci mancherà.