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01 giu 2015

L'Europa non è generazione spontanea

di Luciano Caveri

Qualche tempo fa, a Reggio Emilia, ho visitato nei "Musei Civici" della città la "Collezione Spallanzani", formata dai reperti che Lazzaro Spallanzani - scienziato gesuita settecentesco - raccolse ed organizzò con impressionanti reperti naturalistici, fatti di animali imbalsamati di tutti i generi, di rocce e fossili. Il grande naturalista era a me noto soprattutto perché ideatore di esperimenti tra cui quello per confutare la generazione spontanea. Spallanzani nel 1761 iniziò a interessarsi della generazione spontanea, di cui riuscì a determinarne l'infondatezza, preparando degli infusi e sterilizzandoli attraverso una bollitura durata per più di un'ora. Morale: in questi contenitori non si verificava crescita batterica. Mi veniva in mente la storia in queste ore in cui da destra e da sinistra, passando per il centro e verrebbe da aggiungere dall'alto e dal basso, l'Unione europea è nel mirino di tutti. La Grecia cavalca l'antieuropeismo per salvarsi la pelle, la Polonia sceglie la linea anti-UE, la Spagna con "Podemos" predica un cambio epocale per la politica comunitaria. In Italia il fronte antieuropeista ha ormai adepti in tutti gli angoli e la bolla si sta gonfiando e prima o poi scoppierà con clamore.

Tutti agiscono come se l'Unione europea fosse nata da una generazione spontanea, senza responsabilità di nessuno, e non dal lavoro di costruzione iniziato, per limitare il campo d'azione e senza troppo cercare le radici profonde, nel secondo dopoguerra. Questo per dire che il risultato odierno è il frutto non di qualcosa di astratto, ma vi sono meriti e colpe, che fanno del processo d'integrazione europea una costruzione umana con i suoi pro e i suoi contro e da questo bisogna partire per ogni processo di cambiamento. Non facendo finta, insomma, che quanto oggi c'è sia il frutto di chissà quali sperimentazioni fatte a Bruxelles da tecnocrati simili a scienziati pazzi. Non faccio - intendiamoci bene - il difensore d'ufficio dell'attuale Europa, perché ne conosco storture e limiti, ma il gioco dello scaricabarile e del "crepi Sansone e tutti i filistei" non porta da nessuna parte. Per capirci: la logica dell'austerità esacerbata, delle liberalizzazioni selvagge, degli attacchi a certi capisaldi del welfare, il centralismo europeo corrispondente al centralismo degli Stati, certo dirigismo ottuso della burocrazia, la sussidiarietà di cartapesta rispetto al regionalismo in Europa sono errori macroscopici che vanno corretti, anche in modo brusco, ma facendo attenzione a non gettare il bambino assieme all'acqua sporca. Ho letto ieri l'intervista di Aldo Cazzullo a Romano Prodi, e due sono i passaggi, a mio avviso, più significativi. Il primo: «L'Europa non ha più politica, né idee; ha solo regole, aritmetica. Quando definivo "stupido" il "Patto di stabilità", sapevo che si sarebbe arrivati a questo punto. Non si governa con l'aritmetica. Junker ha annunciato il suo Piano di investimenti nove mesi fa. Il tempo in cui nasce un bambino. Ma non si è ancora visto nulla». Il secondo su Matteo Renzi: «Di richiami alla solidarietà europea ne ha fatti, ma non si vede una politica alternativa a quella di Berlino. Eravamo un'Unione di minoranze; ora siamo un'Europa a una dimensione, quella tedesca. Ho sperato a lungo che Francia, Spagna ed Italia trovassero una linea comune. Non ci sono riusciti, perché ogni Paese credeva di essere più bravo dell'altro; in particolare la Spagna e la Francia pensavano di essere più brave dell'Italia. Il voltafaccia di Parigi sugli immigrati è clamoroso: l'Europa ha annunciato un accordo, e l'ha disatteso sei giorni dopo. Almeno Cameron ci ha presi in giro fin da subito: ha offerto le sue navi per il salvataggio dei profughi, a patto che restassero tutti in Italia». Spiace dover ricordare, perché dovrebbe essere patrimonio comune, che questo 2015 ha una duplice lettura: cento anni fa si combatteva la feroce Prima Guerra mondiale e settant'anni fa finiva la Seconda Guerra mondiale. Sarà pure che oggi l'Europa interpreta più l'economia che la politica e lo fa con un deficit democratico evidente e con incapacità di agire in materie essenziali, come avviene ora con le vicende dell'immigrazione. Ma se prevalesse la logica di disgregazione e della divisione, allora sarebbero guai ancora più grossi di quelli attuali. Ecco perché vale il detto «Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito». Per cui non si tratta di giocare con il catastrofismo, ma ragionare sulle necessità di una svolta, che tenga conto che non tutto della politica comunitaria è da buttar via, ma che certa furia iconoclasta, che non opera dei distinguo, ci porterà sino al baratro di una vera e propria dissoluzione della costruzione europea. Se così fosse, sarebbe un disastro. Meglio sarebbe cavalcare, perché tutto è già stato scritto, una svolta federalista per l'Unione europea, che cessi di essere una semplice sommatoria di Stati, ma abbia un respiro continentale, mantenendo però la straordinaria nervatura dei poteri locali per controbilanciare i rischi del gigantismo.