In molti - specie in questi tempi di elezioni comunali che coinvolgono molte persone - si trovano, mentre appunto si cercano le candidature giuste per le liste elettorali, di fronte alle profferte di essere candidati e di diventare amministratori. In tanti devono dunque riflettere sul proprio futuro e sull'impatto che certe scelte possono comportare sulla propria esistenza. La politica, anche se magari nel semplice ruolo di consigliere comunale, sembra un salto nel vuoto o qualcosa di così invasivo da ledere le proprie abitudini e i propri ritmi. Fatemi sul tema proporre qualche osservazione che spero utile, avendo maturato una qual certa esperienza nel ramo. Anni fa, mi fece impressione, ma non so quanto poi dalle parole si passò ai fatti, un ragionamento che emerse in Südtirol. Si trattava in sostanza di ragionare su come i tempi del lavoro di chi si occupa di politica dovessero incrociarsi con le altre attività della propria vita, dalla famiglia al tempo libero. Ancora oggi la questione mi sembra centrale: esiste la tendenza alla "riunionite", cioè al moltiplicarsi di riunioni, che siano organi politici di vario genere o le terribili commissioni e sottocommissioni di ogni fatta. Era un decisionista come Charles De Gaulle a dire: «I dieci comandamenti sono stati formulati in modo così semplice, conciso e comprensibile, perché elaborati senza una commissione».
Ma non è solo questo il rischio paventato dai sudtirolesi, ma riguarda anche il rischio che agende cariche come dei somari, che obblighino ad occupare ogni parte di una giornata, finiscano per allontanare chi fa politica dalla realtà e soprattutto dai propri affetti e dalla normalità della vita quotidiana. E' una questione che conosco: anche quando ho fatto della politica la mia attività esclusiva ho combattuto contro l'ossessione della riunione perenne e contro la degenerazione degli impegni pubblici, che c'è nel morbo del presenzialismo. Chi cioè scambia la necessità di essere a certe manifestazioni o incontri con l'ossessione di essere ovunque, scambiando la nobile arte della politica con l'assillo di essere sempre in campagna elettorale. Non si vedono più le persone e i loro problemi, ma chi si incontra diventa un voto da fidelizzare e dunque il rapporto diventa fasullo e basato sul mellifluo desiderio di accaparrarsi il consenso. Ma torniamo al punto: come conciliare le cose, evitando davvero che il proprio tempo finisca per essere cannibalizzato, se si accetta un mandato politico piccolo o grande (e certo ogni cosa è commisurata). Ho le mie esperienze. Le riunioni - quando sono necessarie e non basta scambi di documenti agevolati dalle nuove tecnologie, che consentono anche discussioni via Web - bisogna gestirle con chiarezza e con ordini del giorno precisi e con rispetto dei tempi, lavorando su conclusioni certe. Altrimenti non si va da nessuna parte. Trovo poi che vanno definiti spazi che non vanno invasi: aborrisco l'abitudine di trovarsi la sera, quando si è naturalmente più stanchi e quando - se si crede nella famiglia - si deve poter avere un momento di incontro e di intimità. E invece ci sono quelli che amano questi incontri, spesso allungati a dismisura e contro ogni ragionevolezza, talvolta anche a causa del malvezzo dei ritardatari cronici che danneggiano tutti. Insomma "primum vivere" senza finire stritolati dai soli doveri, perché esistono anche dei diritti, che evitino che la politica diventi un recinto in cui si finisce per vivere male e con una visione falsata della società.