L'invecchiamento della popolazione è un dato costante nelle nostre società occidentali su cui è bene ragionare. Deriva da un aumento rapido della probabilità di vita e questo allungamento della durata della nostra esistenza è fatto di gioie e dolori. La gioia è evidente: campiamo di più - se saremo fra i fortunati nella lotteria della vita - e questo penso che faccia piacere a noi e a chi ci vuole bene (brutta notizia per chi ci vuole male...). L'esperienza accumulata con una vita più lunga può essere utile oggetto di trasmissione e non finire nel nulla. Per contro non sempre gli ultimi anni della vita "allungata" sono rose e fiori, rispetto alla qualità della vita stessa. Più si va in là con gli anni e più gli acciacchi possono trasformarsi in malattie e c'è quella brutta bestia del "morbo di Alzheimer", che può rovinare la vita a chi se la ritrova ed ai parenti di una persona ormai smarrita. Per questo prima o poi la "fine vita" andrà regolata a nostro vantaggio, perché dobbiamo essere registi della nostra storia terrena con raziocinio ed equilibrio senza scaricare su altri decisioni delicate.
Avevo letto tempo fa - e cito a memoria - che l'aspettativa di vita nel 1800 era di 32 anni, più o meno come avveniva in una società primitiva. Poi nel 1900 - in un comitato disposto fra scoperte scientifiche e miglioramento della qualità di vita - si era passati a 52 anni, mentre oggi, con un ulteriore balzo in avanti, può tranquillamente toccare gli 82 anni. Perciò, negli ultimi duecento anni della nostra storia, la vita media dell'uomo si è allungata di oltre una volta e mezza e proprio questa settimana su "Panorama" leggevo di sperimentazioni che spingeranno sempre più in là l'età dell'uomo alla ricerca - roba da brividi da fantascienza - di forme di immortalità. Ne godranno, ammesso che sia così, le generazioni future. Intanto sarebbe bene pensare sempre e di più su come reagire ad una società con tanti vecchi sotto i diversi profili possibili. Ci ragionavo ieri, in modo assai concreto, accompagnando mia mamma 85enne all'ospedale di Aosta. E riflettevo come ci siano servizi, come quelli sanitari, che potrebbero essere banco di prova, a partire da una certa età, di modalità di interazione con gli anziani che tengano conto dei loro limiti di comprensione e di mobilità. Mia madre deve fare un'operazione di cataratta ad un occhio e già muoversi in fase pre-operatoria rischia per lei di essere un salto ad ostacoli. Alcune istruzioni per le visite avvengono per via telefonica e questo crea ansia nell'anziano. Se da una certa età l'interlocuzione fosse già con un parente o un amico più giovane tutto sarebbe più facile. Idem per la trafila per le diverse analisi in ospedale con diverse accettazioni e code, che sarebbero molto più semplici e meno preoccupanti per chi si trova in difficoltà se ci fosse, oltre alla modalità del parente che accompagna, anche l'opzione di un dipendente o un volontario "tutor" che rassicuri l'anziano nei suoi spostamenti, per altro evitando loro un pacco di carte nelle mani e le preoccupazioni da sistemi automatizzati di code che creano sconcerto. Moltiplichiamo le opportunità per altri servizi e altre necessità per avere una società amichevole e gentile con e per i nostri anziani (che poi saremo noi domani). Si tratta di evidenti segni di civiltà. E non mi si faccia per favore un discorso, come ormai sento solo fare, di budget, tagli, razionalizzazioni. Trovo che ci sia un veleno che si diffonde a cui ci stiamo stoltamente abituando.