L'altro giorno, inaspettatamente, una persona mi ha chiesto: «ma fare qualcosa con la Savoia, al posto di accettare ogni imposizione su di una macroregione che guardi verso l'Italia e che ci faccia sparire?». Mi è sembrata un'affermazione forte in una persona non ideologizzata e segno che certi temi - un tempo oggetto di discussioni elitarie in cerchie ristrette - hanno finito per essere oggetto di riflessione più vasta e mischio per questo stupore a soddisfazione. Forse è causa del pantano in cui ci troviamo e che stimola i pensieri sulle possibili vie di uscita. E questo - lo dico incidentalmente - dovrebbe interessare anche i savoiardi, già finiti annacquati nella grande Regione Rhône-Alpes, oggi ancora più vasta con l'aggiunta posticcia dell'Auvergne.
Il tema proposto dalla domanda iniziale è stimolante e riguarda, in sostanza, che cosa fare con i nostri vicini non riportabili all'Italia, con cui viviamo molte similitudini per le conseguenze della Storia, lungo le piste di antichi rapporti di vicinanza e di comunanza culturale e linguistica. Piste sempre promettenti. Qualcuno chiama questa dimensione "Arpitania", in ossequio ad una dimensione di condivisione dell'area del francoprovenzale, ma, al di là della modernità o meno di questo tipo di impostazione, il perimetro di affinità di problemi da risolvere e da condividere è vivo e vegeto più di certe dinamiche statuali e pure di sguardi al passato, se non cementati in disegni istituzionali e costituzionali. Unico antidoto al rischio di restare nel mondo simpatico ma inutile delle fantasie. E ciò riguarda, per chiarezza e per non chiudersi nel proprio orticello, una riflessione europeistica sul fatto che la caduta delle frontiere in chiave comunitaria dovrebbe essere il punto di partenza di una cooperazione territoriale con chi condivide la cittadinanza europea. Questo può avvenire subito e di fatto con i nostri vicini francesi, ma la pista è analoga - nella chiave della cooperazione trans frontaliera - con la Svizzera. Oggi, se si parla di queste cose, c'è il rischio di essere scambiato per uno un po' picchiatello e che guarda ad un passato nostalgico o a un futuro così utopistico da stare nel mondo dei sogni. Io penso, invece, che non sia per nulla così e che la prossimità sia una dimensione naturale e chi non vuole investire su reti di questo genere mostra atteggiamenti asfittici e miopi. Mentre è necessario guardare in grande e seminare dei semi che potranno essere raccolti da altri in futuro. Sono argomenti da coltivare per non morire da un'idea da conformismo e adeguarsi ad un mondo grigio senza arcobaleni da cercare.