Matteo Renzi, alla fine, è riuscito a piazzare Federica Mogherini nel ruolo di "Lady Pesc", in termini ufficiali significa "Alto Rappresentante per la politica estera europea", succedendo all'inglese Catherine Ashton, che aveva già dimostrato l'assoluta inutilità del ruolo in un'Europa senza idee in comune nella materia, pagando - identica trappola per la neoeletta - anche il prezzo della sua inesperienza. Resto convinto che sarebbe stato utile rivendicare un altro ruolo, perché quello ottenuto rischierà di essere foriero di un continuo tiro al bersaglio e - per la vita itinerante di chi lo ricopre - vorrà dire il rischio di assenze in occasione delle decisioni topiche della Commissione europea. Ma Renzi ha deciso diversamente, più per immagine che per sostanza e anche questo, come contraltare ai Paesi dell'Est che non volevano Mogherini, ha portato un polacco, Donald Tusk alla Presidenza del Consiglio europeo. Ai valdostani credo debba piacere, essendo un "casciubo", appartenente alla minoranza etnica e linguistica di origine slava che vive nel Voivodato della Pomerania. Il suo sarà un occhio interessato ai problemi delle minoranze nell'Unione europea. Per simpatia con questo incipit oggi parlerò - cosa che faccio raramente, proprio per la complessità dei temi - di politica estera e in particolare dei curdi, oggi corteggiati come non mai dall'Occidente per il loro ruolo di "argine" contro gli estremisti islamici in Iraq. Un uso spregiudicato e utilitaristico di un popolo, obbligato a diventare minoranza linguistica, perché sempre preso a "calci nel sedere" dal cinismo delle grandi Nazioni, che in ogni passaggio della storia contemporanea li hanno spezzettati con tratti di penna sulla carta geografica, lasciandoli in balia di regimi persecutori e di vere e proprie stragi, come fece con il gas nel 1988 il dittatore iracheno Saddam Hussein. Sono passati molti anni da quando, nel mio impegno parlamentare, mi occupai per la prima volta della "questione curda", conoscendo ad Aosta un giovane curdo e poi ebbi, di conseguenza, contatti con la piccola comunità presente in Italia, proveniente dalla parte di Kurdistan trovatasi, per i destini della storia, occupata dai turchi, che si sono periodicamente dimostrati feroci. Un conto era stato conoscere, tramite la loro testimonianza, la situazione reale e un conto era averla studiata sui libri: un esempio clamoroso per chi si occupi di minoranze linguistiche di una Nazione - la più grande del mondo in termini numerici - senza uno Stato. Poi mi occupai della questione a Bruxelles, quando pareva che avesse avuto un'accelerazione l'ingresso nell'Unione europea della Turchia e mancava qualunque chiarezza sul destino di una tutela dei curdi che giustificasse un lasciapassare per l'Europa. Nell'acquis communautaire, regole che servono come "paletti" anche per l'allargamento, c'è anche, fra le altre, la tutela delle minoranze linguistiche e nazionali. Eppure un territorio per il Kurdistan tanto agognato c'e: sono i 550mila chilometri quadrati in parte della Mesopotamia, oggi divisi tra Turchia, Iran, Iraq e Siria. I curdi, popolo antichissimo e di montagna, sono fra i trentacinque e quaranta milioni, per la maggior parte di religione musulmana sunnita. Ma esiste un'enorme comunità curda in diversi Paesi del mondo, dov'è emigrata forzatamente, pur mantenendo una sua identità e un legame con le comunità d'origine. Oggi i curdi - che pure hanno un territorio ricco di risorse naturali, petrolio compreso - servono per la loro compattezza e il loro coraggio contro chi, come i fautori della "Jihād" (parola araba che significa "esercitare il massimo sforzo"), vuole creare un vero e proprio Stato integralista islamico in Medio Oriente con cui regolare i conti nel mondo islamico, distruggere le minoranze linguistiche e religiose, specie gli odiati cristiani. In cambio del contrasto che i curdi stanno facendo contro questo progetto pericolosissimo per il suo carico di violenza e di odio, auguriamoci che il Kurdistan prenda forma davvero e non ci sia l'ennesima beffa rispetto ad un sacrosanto diritto a ottenere una propria vita senza gioghi.