Confesso che la mia prima reazione è stata lo stupore. Quel senso di «sogno o son desto?» non da filosofo - per carità! - ma da chi vuole darsi un pizzicotto per essere sicuro che quel che ha letto sia vero. Traggo dall'Ansa la breve notizia nella sua essenzialità: "Finanziato dal Fondo sociale europeo e volto alla promozione della conciliazione lavoro-famiglia, il progetto "Io? in vacanza con le guide" porterà per tutto il mese di luglio i bambini che hanno frequentato le scuole a Valtournenche e a Breuil-Cervinia in montagna con l'accompagnamento delle guide del Cervino". Passato lo sbandamento iniziale e cancellato anche il dubbio che fosse una sorta di doposcuola astutamente finanziato, mi sono rimesso in carreggiata.
Quanto decritto, infatti, conferma una mia preoccupazione sul rischio che aleggia di "spaesamento" (ma forse è più efficace il francese "dépaysement"), vissuto da tanti giovani valdostani, che sembrano aver perso quel gusto di conoscere e vivere la montagna in cui abitano e che li circonda. Nel caso di Valtournenche, il caso balza alĺ'occhio perché colpirebbe meno un paese di fondovalle, ma abbacina un Comune di montagna, forgiato dal proprio ambiente naturale, immerso in un contesto alpino imponente e culla dell'alpinismo. Credo, perciò, con assoluta onestà che molti dei ragazzini coinvolti non siano affatto digiuni o distratti rispetto al proprio habitat e milieu, ma certo la notizia nuda e cruda si presta a elucubrazioni e ricostruzioni anche capziose. Per cui - ci mancherebbe! - nessuna critica o generalizzazione, ma una cornice va messa proprio per non sottostimare la portata generale del problema, che riguarda la Valle e altre zone alpine. Esiste, infatti, un fenomeno allarmante, che colpisce chi si trova a perdere certi propri riferimenti territoriali e naturali per un problema culturale, fatto di interruzione nel passaggio di testimone fra generazioni e fondato su una sorta di ignoranza dei propri luoghi di appartenenza. Come se un'educazione sentimentale, usando l'espressione di Gustave Flaubert, si fosse inceppata. Mi è capitato spesso di annotare il paradosso del giovane autoctono che immerso in un mondo globalizzato perde di vista molti riferimenti di prossimità. Come se in prospettiva la montagna diventasse un posto dove vivono persone che riducono al minimo il contatto con il proprio luogo di appartenenza, smettendo di funzionare quel fil rouge di conoscenza delle montagne che ci attorniano, che sono un timbro forte della propria identità. Chi mi conosce sa quanto io ritenga che la montagna e i suoi "genius loci" influenzino le popolazioni e questo è così vero che popoli distanti e diversi su montagne che si trovano in Continenti differenti manifestano similitudini e tratti culturali che stupiscono. Ma in un mondo in cui molto tende ad omogeneizzarsi e a ingrigirsi nell'uniformità sarebbe un delitto che non ci rendesse quasi più conto di come, nel caso della Valle d'Aosta, la Montagna, la sua sinfonia di forme e la sua influenza continua sui comportamenti e le attività, sia strettamente legata alla nostra vita. Per cui la singolare iniziativa di Valtournenche può suonare come un campanello d'allarme o, viceversa, come un'iniziativa pilota perché l'ambiente che ci circonda non sia uno sconosciuto, ma luogo da conoscere e da amare.