Capitava spesso, la sera a Roma, che con i colleghi parlamentari sudtirolesi e trentini si finisse per parlare delle rispettive montagne alpine. Lo sfottò reciproco era evidente nel vantare la bellezza dei propri massicci e della vallate sottostanti. Io, al momento buono, calavo l'asso: i nostri ghiacciai. Trovo che siano loro - visti salendoci con i ramponi, osservati da distante da qualche belvedere, sorvolati con l'elicottero - a dare alla montagna valdostana quel tratto singolare, conseguenza delle alte quote. Viene in mente quanto scritto, con sintesi mirabile, da Giosuè Carducci nella famosa "ode Piemonte" - titolo che non poteva prevedere che la Valle sarebbe diventata Regione autonoma... - che compose proprio il 27 luglio 1890 al "Grand Hotel" di Ceresole Reale, a due passi da noi:
"Su le dentate scintillanti vette salta il camoscio, tuona la valanga da' ghiacci immani rotolando per le selve croscianti: ma da i silenzi de l'effuso azzurro esce nel sole l'aquila, e distende in tarde ruote digradanti il nero volo solenne".
Bello questo "ghiacci immani", che mette assieme l'enormità degli spazi, ma anche la brutalità della Natura. Per chi abbia scarsa dimestichezza sul loro impatto presente e passato ricordo come siano ben 210 i ghiacciai presenti in Valle d'Aosta e questo significa il quattro per cento della superficie del territorio regionale. La loro catalogazione, con tutte le informazioni che li riguardano, è visibile nel nuovo "Catasto ghiacciai" sul sito della Regione. E' bene, infatti, vigilare sul loro destino, come si sta facendo, per osservare non solo le mutazioni di lungo periodo, ma anche quel che presumibilmente potrà avvenire nello scorcio della nostra vita. Penso, ogni tanto, con orrore che cosa potranno osservare i miei nipoti e pronipoti. Infatti, ancora poche settimane fa, ci siamo sentiti dire che fra settanta o cento anni le Alpi potrebbero essere senza ghiacciai e dunque del tutto rocciose nel periodo estivo. Questo significa conseguenze non solo paesaggistiche, ma di impatto forte sui nostri territori, basti pensare alla preziosa risorsa acqua. Mi pare, tra l'altro, che in Valle si traccheggi sulla preparazione a cambiamenti di questo genere, che implicano impatti enormi anche sulla vita umana. Conosco bene il professor Claudio Smiraglia, del Dipartimento di scienze della terra dell’Università statale di Milano che si occupa del "Catasto dei ghiacciai italiani" e che ancora di recente si è espresso sulla situazione in atto. I dati della crisi dei ghiacciai sono ben noti e non si tratta di propaganda, ma di dati scientifici ottenuti con rilevamenti più precisi di quelli che sono stati svolti in passato: in trent'anni superficie ridotta del quaranta per cento: «questo significa che entro un secolo, o anche meno, assisteremo all'estinzione dei ghiacciai alpini - conferma Smiraglia - e la cosa dovrebbe stupirci perché è la prima volta che otteniamo un dato globale sul nostro Paese. Non sono più solo teorie. Ciò che stanno vivendo i ghiacciai oggi è il sintomo del nostro rapporto precario con il mondo naturale. I ghiacciai dovrebbero diventare il simbolo di una rinascita». Questo significa, per capirci, prendere consapevolezza che dietro a certe modificazioni non vi è più solo l'altalenante mutazione del clima sulla Terra, che ha creato nei ghiacciai - e la Valle d'Aosta è un territorio che di questo parla dalla notte dei tempi - una sorta di movimento a fisarmonica con espansioni e contrazioni, ma anche il fatto che i comportamenti umani pesano sui cambiamenti in atto e potrebbe essere una tendenza irreversibile. E' vero che gli chi studia i ghiacciai alpini, come l'"Istituto di glaciologia e geofisica" di Grenoble, ha notato come nel 2013 c'è stato un positivo blocco degli arretramenti, agevolato anche dall'innevamento invernale piuttosto abbondante, ma si sa che quel che conta di più è la temperatura. Quest'estate sembra confermare la situazione, come si vede anche in queste ore con lo zero termico non troppo alto e persino nevicate estive inconsuete a luglio. Ma questo, almeno per ora, non sembra placare i pessimismi e dunque è bene guardarci attorno: mentre in passato i fatti si subivano (450 anni fa dalla "Becca France" si staccò una frana che inghiottì il villaggio di Thora sopra l'attuale Sarre, oggi monitoriamo le frane con sensori e droni), ormai abbiamo gli strumenti per capire i cambiamenti del nostro territorio e comportarci di conseguenza.