Delle volte mi sento "antico" più che "vecchio" di fronte ad un'evoluzione così rapida di costumi e comportamenti che colpisce duro. Ma vivere guardando nello specchietto retrovisore mi sembra inconcludente e bisogna respirare l'aria dei propri tempi, senza rimpianti per il passato che come l'oggi è stato fatto con cose buone e cose cattive. La memoria, per fortuna, tende ad indorare la pillola. Per chi ha cominciato le scuole elementari all'inizio degli anni Sessanta, concludendo il proprio ciclo scolastico - l'Università è altra cosa - nella seconda metà degli anni Settanta è difficile capire come l'approccio nei confronti della scuola e dei propri figli allievi sia cambiato in una parte di genitori. Pregiudizialmente forse, ma era così, i genitori della mia generazione erano dalla parte dei maestri e dei professori. Solo casi macroscopici e di una palese gravità potevano accendere un contenzioso con la Scuola, istituzione con la "s" maiuscola. E' vero che di mezzo c'era stato il "Sessantotto", che ha compreso il salutare venir meno di barriere e steccati, rendendo la scuola più aperta e, come si diceva un tempo, più democratica. Ma l'Istituzione aveva mantenuto una sua evidente sacralità, magari eccessiva, che portava comunque a stare a priori sul terreno degli insegnanti e del loro lavoro. A "cazziatone a scuola" seguiva a ruota "rimbrotto familiare". Era una somma e non una sottrazione. Oggi la mia impressione, ma ne hanno scritto in tanti e meglio di me, è che una parte dei genitori, sin dalle elementari, si inventino "sindacalisti" dei loro figli, assumendo - con un partito preso che somiglia agli eccessi di partigianeria precedenti di segno contrario - un atteggiamento della serie «mio figlio è il migliore dei figli possibili, sei tu prof a non capirlo o a non avere metodi d'insegnamento consoni rispetto alla mia creatura». Questo atteggiamento mentale non è solo fonte di un contenzioso fra genitore e insegnante, ma investe ovviamente la psicologia del bambino o del ragazzo, che finisce per rivolgersi a papà o a "mammà" in un crescendo che in certi casi assume coloriture di disputa perenne e persino, come ho visto, trascendere in carte bollate e Giustizia messa di mezzo. Che sia chiaro che qualche casus belli avrà delle giustificazioni, ma è l'idem sentire in una parte importante dei genitori che sembra suonare come un cambiamento di atteggiamento su cui riflettere. Ma naturalmente c’è anche altro: anche nella piccola Valle d'Aosta, dove la civile convivenza dovrebbe essere un tratto distintivo, si segnalano scuole dove non solo poter osservare la didattica normale diventa difficile, ma dove la vita quotidiana in aula viene ammorbata da veri e propri problemi neppure di disciplina ma di vero e proprio ordine pubblico. Allievi e famiglie, in certi casi, diventano tutt'uno nel ridicolizzare ogni sanzione disciplinare, forse perché alcuni ritengono che l'obbligo scolastico a sedici anni sia un impiccio e "posteggiare" i figli a scuola una scocciatura, che rende ininfluente ogni obbligo di attenersi ai doveri. Non penso che la "militarizzazione" delle scuole o atteggiamenti muscolari potrebbero risolvere la situazione, ma forse è giunto il momento di fare il punto, specie rispetto a quel complesso di norme di rappresentanza nella scuola delle istanze di studenti e genitori che sono vecchie come il "cucco" e del tutto inutili. Uno snodo, fra scuola, famiglie e società che ha dimostrato di essere un castello di carte imbevuto di retorica proprio sessantottina e che non impedisce quei fenomeni cui ho fatto cenno. Ma queste questioni paiono non essere al centro del dibattito politico, che si balocca con troppi temi teorici e astrusi.