Ci sono argomenti di cui è difficile scrivere. In contemporanea, proprio ieri, si sono incrociati - commentatissimi da editorialisti di punta - due casi di cronaca nera: uno vecchio, con la scoperta dell’assassino, di Yara Gambirasio, la ragazzina bergamasca uccisa alcuni anni fa (all'epoca mia figlia aveva la sua stessa età e non fu difficile capire lo strazio dei genitori); il secondo recente riguarda, sempre in Lombardia, quel padre che ha ammazzato la moglie e i due figli a colpi di coltello, perché invaghito di una collega (l'orrore mi ha mozzato il fiato, come credo a tutti). Sarà che la diffusione delle notizie è oggi più rapida e più capillare, ma se uno si prendesse la briga di mettere assieme - solo nell'ultimo anno - casi analoghi o simili ne avrebbe di che riflettere per la numerosità e l'efferatezza. Ancora ieri a Milano un tizio ha accoltellato tre persone, uccidendone una! Neppure un Quentin Tarantino, amante di una rappresentazione persino grottesca della violenza umana, potrebbe inventarsi certe storie terribili, degne di quei "piani sequenza" che piacciono al regista americano. L'orrore non è solo nelle sue pellicole, dove il sangue che schizza è quasi uno sberleffo rispetto invece alla drammaticità di certi delitti, ma è tristemente fra di noi, nella mente di persone "normali", dei familiari e del vicino di casa. «Ci sembrava una brava persona»: la testimonianza standard apre uno squarcio sull'attuale stato di incomunicabilità. A caldo, con un "Tweet", avevo scritto che, essendo contro al pena di morte per mie convinzioni giuridiche e culturali, uno come il marito-padre assassino non dovrebbe finire all'ergastolo in una cella, ma dovrebbe - nella fatica fisica come pena aggiuntiva - spaccare le pietre, come avviene in certi penitenziari americani. In privato un lettore di questo blog mi ha rimproverato, dicendo che il suo vero destino dovrebbe essere un manicomio criminale, perché - questo il ragionamento - solo un matto può fare cose di questo genere e dunque, come malato, va curato. Se così fosse - e non si trattasse, quello della malattia, di un alibi per sfuggire alle proprie responsabilità - allora sarei sulla stessa lunghezza d’onda. Un malato va confinato e curato, poi sull'opportunità di riaprirgli prima o poi le porte del manicomio avrei qualcosa da eccepire… Ma qui si entra nel terreno scivoloso della follia e della sua interpretazione da parte della legge. Ieri un’amica, sempre nelle citazioni brevi di un "Tweet", mi ha ricordato la famosa frase di un’opera teatrale di Jean-Paul Sartre «L'enfer, c'est les autres», che disegna la potenziale drammaticità dei problemi interpersonali. Sul punto bisogna capirsi: i manicomi, come rimasti tali sino alla "legge Basaglia", la 180 del 1978, con le lentezze nella sua applicazione, nessuno li difende. Gli ospedali psichiatrici erano in gran parte strutture terribili, dove finivano anche persone con malattie lievi o con semplice devianza sociale. Ma va detto che la nuova impostazione della legge, non più "carceraria", aveva tutta una parte di prevenzione e riabilitazione, che è rimasta in gran parte lettera morta. Dunque, senza rimpiangere il passato, la netta impressione nell'opinione pubblica è che troppi "matti" siano in giro. Tesi confortata - ed ho un ampio repertorio conosciuto di persona - da famiglie sconfortate di fronte al rischio irrisolto di familiari con malattia psichica dai comportamenti violenti con cui è difficile convivere, senza reali risposte da parte delle autorità sanitarie preposte. Almeno questo è quanto mi è stato raccontato. Capisco che, così scrivendo, presto il fianco a critiche di chi di queste cose è ben più esperto. Mi limito, però, a segnalare l’idem sentire. Capite il paradosso? Se il Tizio che ha ucciso moglie e figli dovesse essere considerato un folle, potrebbe finire in un manicomio criminale, strutture però - alcune delle quali, come Aversa, davvero agghiaccianti - che saranno chiuse nella primavera del prossimo anno. Ma gli esperti osservano che si rischia di fare lo stesso errore già fatto con la 180, cioè non tenere conto dei pazienti psichiatrici molto gravi e pericolosi, che hanno bisogno di forme di "contenimento forte" e di trattamenti specifici che finirebbero, invece, per ricadere sulle locali strutture sanitarie. Non è con il buon cuore che si evita che certe persone tornino in libertà e, come già si è visto, chi ha compiuto gesti terribili può di nuovo rifarli.