Da molti anni seguo il ritorno sulle Alpi di animali un tempo scomparsi. Lo faccio per mio interesse, ma nel solco di un problema atavico, che non a caso portò fra Ottocento e Novecento alla scomparsa di quelle specie considerate perniciose dall'uomo. Allora di questo si gioì, mentre oggi è giusto interrogarsi su quale equilibrio ci debba essere, evitando sul tema delle battaglie ideologiche e, come tali, oziose. Tuttavia è legittimo che i montanari di oggi chiedano di essere sentiti per le conseguenze sulle attività economiche della reintroduzione di alcuni predatori. Ne tengano conto certi ambientalisti da città, che paiono non rendersi conto che qualche problema di convivenza esiste e non basta invocare risarcimenti o metodologie di difesa da mettere in atto.
Ricordo nei miei esordi di giornalista come negli anni Ottanta si cercò nel "Parco del Gran Paradiso", senza successo. Ricordo come mi raccontarono che per un errore la coppia era - non ricordo bene - composta o da due maschi o da due femmine. Per cui gli aspetti riproduttivi, sempre che non sia una leggenda metropolitana, non andarono a buon fine, per ovvie ragioni. Meglio andò, anni dopo, per la reintroduzione di un altro animale sterminato a suo tempo, il gipeto, il grande uccello noto anche come avvoltoio degli agnelli. Il lupo, invece, in Valle d'Aosta è tornato per conto suo e da noi non sembra creare problemi analoghi a quelli lamentati nel vicino Piemonte o nelle zone montane francesi e svizzere. Questa riapparizione, sempre più ampia, crea scintille fra gli animalisti, che vogliono anche un riscatto morale verso un animale che porta con sé storie terribili dal passato e chi - specie negli allevamenti ovini e caprini - segnala i danni e la spietatezza del lupo. Ora, come già nei Pirenei, anche sulle Alpi, per il momento orientali, sta crescendo il disagio per il ritorno dell'orso e in Svizzera un esemplare è stato ucciso, mentre in Trentino, dopo un'aggressione ad una persona di un'orsa con il cucciolo, si sta diffondendo una psicosi che si innestata su un senso di contrarietà di vaste parti di popolazione preoccupate per il ritorno del plantigrado. Per ora la nostra zona alpina non è interessata, ma ho letto che qualche rilevamento si è già avuto nella zona piemontese del Monte Rosa. L'orso tornerà anche da noi. Ecco perché il dibattito non va occultato, facendo finta di niente. E' davvero un caso di scuola delle incomprensioni fra chi le zone montane le vive, sbarcando il magro lunario, e chi ha una visione museale ed estetica della montagna e stenta a capire come le Alpi non siano uno spazio selvaggio simile ai grandi Parchi americani. Bisogna, perciò, far convivere esigenze umane con degli animali che non mostrano timidezza nella loro caccia delle prede e nell'occupazione del territorio. Si tratta di un tema delicato e che va risolto con un approccio democratico e non con quella logica impositiva e persino minacciosa di certi discorsi di chi considerare i Parchi come spazi che dovrebbero, in sostanza, fare a meno della presenza dell'uomo come esempio di una natura incontaminata. Si tratta di una teoria bislacca, che ha le sue radici in una visione distorta, incompatibile con una montagna come quella alpina, che è stata forgiata dall'impronta umana. Il montanaro non è mai stato un estraneo che rompe un supposto equilibrio pregresso, ma è partecipe, come testimone e garante, di un territorio umanizzato da millenni. E' bene ricordarlo.