Non ho tutti i dettagli sull'assemblea del Casinò di Saint-Vincent, che ieri sera ha risposto no all'accordo predisposto dall'azienda e dai sindacati confederali sul tema delicato del "taglio draconiano" agli stipendi e alle voci accessorie. Ho letto dello sciopero nella breve notizia notturna dell'Ansa: "Le organizzazioni sindacali hanno indetto uno sciopero fino a domenica prossima al "Casinò de la Vallée" di Saint-Vincent. La proposta e' stata approvata dall'assemblea dei dipendenti della Casa da gioco a cui hanno partecipato circa trecento lavoratori. La decisione di astenersi dal lavoro fa seguito all'evoluzione delle trattative con l'azienda relative ai previsti tagli degli stipendi e del personale". Chi ha partecipato mi ha parlato di temi emersi, quali richieste di azzeramento dei vertici aziendali criticati in modo secco, di necessità di far luce su certi compensi, su bonus e premi, su promozioni interne e uso del lavoro precario criticabili e familistiche e via di questo passo. Come sempre, aleggia un problema: dopo il fallimento della questione dei prepensionamenti, partiti con grandi numeri poi ridimensionati, come prevedibile, una volta fatti i calcoli pensionistici, questa pareva l'occasione per barattare i "tagli" con un organico piano aziendale di rilancio, che sembra, invece, dalla lettura della documentazione, costruito sulla sabbia. Devo aggiungere, per correttezza, che su "Twitter" emergono, come risposta allo sciopero, certe critiche, non nuove, ai "privilegi" dei lavoratori della Casa da gioco, che dimostrano come e quanto non godano di molta simpatia e ora questo si evidenzia ancor di più in epoca di crisi. Ma, pur avendo io stesso segnalato questo aspetto, quando mi occupai del dossier senza molta fortuna e me ne dolgo, perché il rilancio del Casinò andava affrontato tanto tempo fa e non fatto marcire dopo il 2008 per motivi di potere e clientelari, penso che oggi segnalare solo gli aspetti difensivi e corporativi delle proteste e degli scioperi sarebbe un abbaglio. Ritengo, infatti, che i lavoratori del Casinò - grande azienda pubblica, risorsa ancora possibile pur nei nuovi scenari difficili del gioco d'azzardo in Italia - sappiano bene che un'epoca d'oro è finita, ma quel che oggi li angoscia sia l'assenza di scelte chiare e definitive per il futuro da parte di dirigenti che di fatto hanno fallito la loro mission. E, invece, si chiedono sacrifici di certo necessari, ma che risultano vuoti di significato se posti, come sembra avvenire oggi, nel buio di prospettive e di strategie, con una guida manageriale, ma anche e soprattutto politica visto che il Palazzo aleggia in tutto, che non sa dare risposte e annuncia, di volta in volta, la ripartenza come imminente. Manca, per capirci, la fiducia e i fili non saranno semplici da ritessere se non ci saranno passi indietro e novità nelle scelte e nei comportamenti. Chi, come me, un anno fa, prospettò scenari da tregenda, per una crisi che era evidente, fu sbeffeggiato in pubblico e in privato. Oggi non sono affatto contento di avere avuto ragione, perché non si può compiacersi di questa lunga agonia del Casinò, pensando - ma è solo uno degli esempi possibili - a che cosa sono costati i lavori, in parte discutibili, del celebre "Resort". Chiarezza, trasparenza, professionalità, idee e proposte: questi sono elementi su cui lavorare, ma sappiamo che, di questi tempi, nell'azione governativa in Valle d'Aosta, sono parole che fanno venire l'orticaria. Peccato per il nostro futuro e non solo per il Casinò.