Ti guardi attorno, rifletti e compari, domandandoti dove andrà l'Italia. Scherzando, ma non troppo, potremmo dire come - dopo il referendum svizzero voluto e vinto dalla destra - non valga neppure più l'esorcismo «me ne vado in Svizzera». Mai come in questo momento, vale una riflessione importante di un libro, saggistica assai tecnica ma non improba, di Emanuele Felice: "Perché il Sud è rimasto indietro". L'autore, abruzzese trentenne, insegna Storia economica all'Università autonoma di Barcellona. Il libro è interessantissimo, anzitutto perché fornisce dati sul Sud che sono tombali rispetto ai libri più recenti dei neoborbonici, che in sostanza teorizzano un Mezzogiorno ricco e progredito sino all'Unità d'Italia, "spogliato" dai rozzi invasori piemontesi. Questa pista, così come l'altra dell'idea antropologica stupida di meridionali imprigionati da una sorta di inettitudine e pigrizia "razziale", vengono smontate, pezzo per pezzo, da Felice sulla base dell'evidenza storica. Chi rimpiange il Regno delle sue Sicilie fa un buco nell'acqua (viene citato, ad esempio, analfabetismo, povertà, vuoto creditizio e industriale e soprattutto reddito basso), così come è fuori strada chi esalta il brigantaggio come fenomeno resistenziale, disegnando situazione "da olocausto" inesistenti nei dati reali, senza sottostimare e men che meno giustificare la ferocia cieca delle truppe sabaude. Felice scava nelle origini dei tre piloni della criminalità organizzata (camorra, 'ndrangheta e mafia) con le responsabilità antiche e moderne del suo consolidamento attuale e pure della sua "esportazione" nel Nord e nel Centro, si occupa poi delle storture dell'agricoltura latifondista storica e anche dell'industrializzazione "fasulla" del dopoguerra, con una "Cassa del Mezzogiorno" che ha investito soldi a palate finiti nel nulla o nelle tasche dei soliti noti. Da notare che proprio questi denari hanno, per un certo periodo, creato l'illusione, ormai svanita, di un recupero del Sud, ma si è trattato, dice l'autore di una "modernizzazione senza cambiamento sociale" e dunque destinata a non durare. Il cambiamento avviene - come nel famoso Nord-Est - se lo sviluppo e "inclusivo" e attivo, cioè vi è una partecipazione dei cittadini, ma se resta - come nel Sud - "estrattivo" e passivo, a vantaggio di élites compromesse anche nei rapporti con le cosche e con una politica legata a logiche clientelari e di compravendita di voti, le cose non funzionano. In questo senso, Felice spiega l'infondatezza del Sud "colonizzato" dal Nord, perché gli sfruttatori sono state semmai in prevalenza le classi dirigenti meridionali. Conclusioni? in un passaggio l'autore dice e poi spiega diffusamente: "basterebbe che il Sud fosse in grado di modernizzarsi da solo". E viene evocato un "meridionalismo dei diritti civili" e anche una "modernizzazione attiva". Oggi siamo di fronte a un situazione che viene così tratteggiata: la crisi del Sud riguarda soprattutto Campania, Sicilia, Puglia e Calabria; la struttura di potere che impedisce un "vero" sviluppo è intatta; i limiti geografici, che pure pesano, dovrebbero essere relativizzati "nel nostro tempo nuovo, tecnologico e immateriale". Bisogna, insomma, coltivare la speranza che la barca si possa raddrizzare ed evitare il rischio che già si manifesta: che al posto di invertire la situazione nel Sud, questo stato grave - come sta avvenendo con la criminalità organizzata - si esporti nel resto d'Italia. Sarebbe, per l'Italia in crisi, un passaggio letale e certi campanelli d'allarme ci sono tutti. Consiglio il libro, che offre molti altri e intelligenti spunti di riflessione.