In queste ore, sono in tanti a chiedermi che cosa pensi della svolta impressa al dibattito politico italiano su alcune riforme dal nuovo leader del Partito Democratico, Matteo Renzi. Dopo aver "sdoganato" Silvio Berlusconi, coinvolgendolo in un patto politico, con grande rapidità, inusuale nel sistema politico italiano, ha portato alla Direzione del suo partito lo schema di questo accordo con Forza Italia, ottenendo un via libera a larghissima maggioranza e senza voti contrari. Uno scacco matto a quella parte del partito dissenziente, come il presidente Gianni Cuperlo, che aveva chiesto più tempo per decidere. Ma quel che più conta, a mio avviso, è la tiepidezza del presidente del Consiglio, Enrico Letta, che - pur d'accordo sull'ineluttabilità delle riforme - a Palazzo Chigi sta cuocendo a fuoco lento, essendo inconcepibile una diarchia con Renzi come l'attuale. La sostanza delle riforme è difficile da dire, vista dall'ottica dell'autonomismo storico della Valle d'Aosta, di cui mi sento espressione. Il sistema elettorale, che pure oggi sui giornali è ricco di simulazioni, non l'ho ancora capito fino in fondo e la scelta di chiamarlo "italicum" fa sorridere. Sono abituato, per la mia formazione nella vita parlamentare, a giudicare sui testi scritti e non sulle anticipazioni: scripta manent, verba volant. Visto dalla Valle d'Aosta, quel che conta oggi è capire - per la Camera dei deputati, che resterebbe la sola Assemblea elettiva - che fine farebbe la circoscrizione elettorale prevista, con rango costituzionale, dal nostro Statuto, che dal dopoguerra ad oggi si è basata su un collegio uninominale, ben funzionante, con votazione secca all'inglese del deputato. Vedo che non se ne parla e spero si tratti di una dimenticanza. Sul Senato, che dovrebbe sparire come camera elettiva, penso che si debbano capire due cose. La prima: cosa resterebbe in capo a questo Senato e, per la Valle d'Aosta, chi vi siederebbe, vista la norma già citata che prevede almeno un membro valdostano. Il bicameralismo perfetto attuale non può essere distrutto completamente: penso, ad esempio, alle leggi costituzionali e a molte materie afferenti alle Regioni e alle autonomie locali. Il nuovo Senato dev'essere la Camera delle autonomie, ma non può essere vuota di contenuti e infarcita di attori troppo diversi da quelli del sistema autonomistico e non certo giocando sul dualismo fra Regioni e Comuni a vantaggio dello Stato centrale. Il tema risulta così strettamente legato alla riforma del Titolo V e alla scelta di Renzi di rivedere la riforma varata nel 2001 dal centrosinistra, quando io ero alla Camera e la seguii, passo a passo, sino ad un voto contrario per la mancanza del principio dell'intesa nel nuovo articolo 116 della Costituzione a tutela degli Statuti d'autonomia delle "Speciali". Leggo che in certe materie - come energia e turismo - Renzi vorrebbe riaffermare i poteri statali e limitare le competenze regionali. Anche qui ci vuole un testo scritto, perché se l'occasione derivasse dal clima antiregionalista attuale, in cui il federalismo è finito al macero, allora che i valdostani tengano le antenne dritte. Se, infatti, si trattasse di una sorta di controriforma centralista, bisognerebbe capire - in questo cantiere rapido e ancora senza un progetto esecutivo - la fine esatta delle grande accusate di questo periodo: le autonomie speciali, senza distinzione alcuna fra di loro. Su questo, come già dicevo su legge elettorale e nuovo Parlamento, bisogna avere un articolato chiaro e definito, che chiarisca bene cosa sarà il regionalismo italiano futuro e quale sarebbe lo spazio per la nostra Valle, la sua storia, il suo particolarismo linguistico e quel singolare ordinamento giuridico che si è costruito nel tempo. Non so se esista, nell'attuale Italia stremata dalla crisi e da un sistema partitico pieno di contraddizioni, quello spirito costituente necessario per mettere mano alla Costituzione senza fare macelli, ma - visto che si vuol fare - di conseguenza bisogna essere attentissimi a quanto avverrà. So, per esperienza, avendo già vissuto momenti simili, ma quando il federalismo sembrava di gran moda, che la fragilità della nostra autonomia speciale, senza la garanzia internazionale che tutela i sudtirolesi, si manifesta quando la logica dei numeri si impone. Spero che non ci siano distrazione o intontimenti nei mesi a venire, perché poi sarebbe troppo facile piangere sul latte versato.