Matteo Renzi non perde tempo e sul tavolo della politica italiana "lancia" alcune proposte importanti per le riforme istituzionali. Apre, dunque, una trattativa politica e lo stesso, par di capire in contemporanea, fa il Presidente del Consiglio, Enrico Letta. Confesso di non capire - ma credo che sia una mancanza mia - chi tenga il pallino in mano, perché le trattative a due teste non portano distante. Cominciamo dalla legge elettorale: penso che siamo a circa una quarantina di settimane che, per riffa o per raffa, si annuncia che la riforma del famigerato "Porcellum", che in verità già si sarebbe dovuta fare prima delle scorse elezioni politiche, sta giungendo a maturazione. Se non fosse stata in frigorifero o meglio in un freezer, tutto sarebbe già marcito. Ma, si sa, l’Italia è il Paese dell’eterno rinvio e della memoria corta dei cittadini, che sono perennemente incazzati, non capiscono e poi, alla fine, si adeguano. Renzi, dopo aver preparato da tempo le sue proposte, per non essere colto impreparato, “spara” tre possibilità: • Modello spagnolo. Divisione del territorio italiano in 118 piccole circoscrizioni con un premio di maggioranza del quindici per cento (92 seggi) alla lista vincente. Ogni circoscrizione elegge un minimo di quattro e un massimo di cinque deputati. Soglia di sbarramento al cinque per cento. • Modello della legge Mattarella (nota anche con il nome di "Mattarellum"). 475 collegi uninominali e assegnazione del venticinque per cento dei collegi restanti attraverso un premio di maggioranza del quindici per cento e un diritto di tribuna (l’elezione d’ufficio per i partiti che non superano lo sbarramento) pari al dieci per cento del totale dei collegi. • Modello del doppio turno di coalizione dei sindaci. Chi vince prende il sessanta per cento dei seggi e i restanti sono divisi proporzionalmente tra i perdenti. Possibile un sistema con liste corte bloccate, con preferenze, o con collegi. Soglia di sbarramento al cinque per cento. Detto così, mancano elementi reali di valutazione, perché siamo di fronte a proposte assai schematiche, che andrebbero declinate in modo chiaro. Certo noi siamo protetti dalla norma statutaria, che per nostra fortuna parla di circoscrizione elettorale e dunque per uscire dall’attuale sistema uninominale, in vigore dal dopoguerra, bisognerebbe arrampicarsi sugli specchi. Dice, infatti, lo Statuto all’articolo 47: "Agli effetti delle elezioni per la Camera dei deputati e per il Senato, la Valle d'Aosta forma una circoscrizione elettorale" . E' bene, comunque, vigilare. Nella lettera ai partiti, scritta da Matteo Renzi (l’avranno ricevuta anche i partiti espressione dei parlamentari valdostani?), vengono annunciate anche due proposte di riforma istituzionale, che aveva già anticipato nei mesi scorsi: • La riforma del bicameralismo, con la trasformazione del Senato in camera delle autonomie locali e la cancellazione di ogni indennità per i senatori, che non vengono più eletti. • La riforma del titolo V della Ccostituzione per restituire allo stato alcune competenze oggi in mano alle Regioni e ridurre il numero dei consiglieri regionali e le loro indennità (al livello di quello che guadagna il sindaco della città capoluogo). Qui, in chiave valdostana, lo scavo sulle proposte vere e proprie dev'essere ancora più profondo, sia sul primo che sul secondo punto, perché va chiarita la presenza valdostana al Senato, legata alla norma di rango costituzionale già citata, così come toccare il Titolo V non è una bazzecola neppure per le Regioni a Statuto speciale. Non solo perché fra gli articolo del Titolo c'è pure il caposaldo della specialità, cioè l'articolo 116, ma anche perché una parte del dinamismo del nostro vecchio Statuto deriva dall'estensione alle autonomie differenziate di materie e poteri, derivanti proprio dal testo novellato di questa parte della Costituzione. Insomma, ancora più vigilanza. Direi: allarme rosso.