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23 ago 2013

Tirare a campare

di Luciano Caveri

La definizione "tirare a campare", che noi usiamo spesso con un sorriso, scherzando sugli alti e bassi della vita, ha un origine antica e risalirebbe alla prima metà secolo XIII, nel significato serio di "restare vivo sul campo di battaglia". Se ne avessimo coscienza, forse la useremmo con maggior misura, specie in politica. Che è poi, proprio in politica, l'impressione che oggi, in una rara simmetria a distanza, vale per il Governo sia a Roma a Palazzo Chigi che ad Aosta in piazza Deffeyes. Mi viene in mente, nell'uso letterale, quella grande personalità che fu il sardista Emilio Lussu, relatore alla Costituente, per nostra fortuna, dello Statuto d'autonomia della Valle d'Aosta. Fervente interventista, Lussu fu ufficiale pluridecorato nella Grande Guerra e le tragiche vicende di tante battaglie smorzarono ogni entusiasmo per la guerra. Non a caso, una ventina di anni dopo, scrisse un libro di ricordi, intitolato "Un anno sull'Altipiano", in cui raccontò del periodo trascorso dalla "Brigata Sassari" sull'Altipiano di Asiago tra il giugno 1916 e il luglio 1917. Molte e tragiche vicende da addebitare anzitutto ai Generali, quasi tutti disastrosi durante la Prima Guerra Mondiale e per primo lo fu Luigi Cadorna, comandante supremo. Così è stato l'uso delle truppe isolane, somigliante, in modo sinistro, all'impiego in battaglia dei valdostani del "Battaglione Aosta": purtroppo carne da cannone con una vera e propria strage generazionale, ben visibile dall'elenco dei caduti in ogni Comune della Valle. Subito una frase indicativa di Lussu tratta dal suo libro: "Non è vero che l'istinto di conservazione sia una legge assoluta della vita. Vi sono dei momenti, in cui la vita pesa più dell'attesa della morte". O ancora laddove racconta: "L'assalto! Dove si andava? Si abbandonavano i ripari e si usciva. Dove? Le mitragliatrici, tutte, sdraiate sul ventre imbottito di cartucce, ci aspettavano. Chi non ha conosciuto quegli istanti, non ha conosciuto la guerra". Le generazioni del dopoguerra, come la mia hanno avuto la fortuna di non vivere la guerra, tranne chi si sia trovato su scenari di guerra, come le truppe impegnate in azioni di respiro internazionale, ma sono ormai tutti professionisti. L'unica esperienza che io ho avuto fu una visita nella zona di guerra, all'epoca della guerra dei Balcani e vedere dal vivo gli esiti di uno scontro ferocissimo fu per me un'esperienza terribile, che mi consentì di capire meglio certi racconti di mio nonno e di mio padre. Per contrasto, questo mi ha convinto, se mai ce ne fosse stato bisogno, di quanto alla violenza della guerra si debba sempre contrapporre il valore assoluto della pace. Ecco perché nell'eco distante di tanti scontri in corso nel mondo - con l'Egitto che ora occupa i titoli principali - bisogna sempre trovare un ammonimento. Fa venire i brividi la frase di Hermann Hesse, che proprio durante il primo conflitto mondiale si espresse con logiche pacifiste: "La pace non è una paradisiaca condizione originaria, né una forma di convivenza regolata dal compromesso. La pace è qualcosa che non conosciamo, che soltanto cerchiamo e immaginiamo. La pace è un ideale".