«Il riequilibrio di bilancio, le riforme strutturali e la coesione territoriale - aveva detto Mario Monti al Senato un anno fa al momento della fiducia al suo Governo - richiedono piena e leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali. Occorre riconoscere il valore costituzionale delle autonomie speciali, nel duplice binario della responsabilità e della reciprocità». Come spesso capita, sull'onda dell'entusiasmo e dell'attesa in positivo, queste parole del Premier del primo Governo "tutto tecnico" nella storia della Repubblica era stato accolta con grande fiducia, come è dovuta al programma presentato da una persona seria. A ben leggere le frasi sopra riportate qualche piccolo dubbio, derivante dall'equilibrismo dialettico, poteva pure starci, ma si sa che partire con scetticismo sarebbe stato da prevenuti.
Eppure un campanellino d'allarme c'era stato quando aggiungeva a Palazzo Madama: «per rispondere alla richiesta formulata dalle istituzioni territoriali nel corso delle consultazioni, ho deciso di assumere direttamente in questa prima fase le competenze relative agli Affari regionali. Spero in questo modo di manifestare una consapevolezza condivisa circa il fatto che il lavoro comune con le autonomie territoriali debba proseguire e rafforzarsi, nonostante le difficoltà dell'agenda economica». Una settimana dopo Monti trasferiva la delega sulle Regioni a quel Ministro Piero Gnudi, totalmente digiuno in materia, cui all'inizio erano state date, come materie, i soli sport e turismo. Un cambio di rotta repentino ma che non venne letto con malizia da nessuno. Anzi, si pensava che i "colpi di coda" gravemente antiregionalisti - lo ha detto la Corte Costituzionale! - dell'ultimo decreto Tremonti del Governo di Silvio Berlusconi sarebbero stati corretti da un Monti che appariva rispettoso dei poteri locali e regionali. Un anno dopo, dobbiamo dire con dispiacere politico e umano che è stato un abbaglio: decreto legge dopo decreto legge la via crucis delle autonomie locali è stata evidente con una particolare virulenza verso le autonomie speciali, Valle d'Aosta compresa. Lo Stato in un "neocentralismo montiano" non si è fatto mancare nulla, picchiando durissimo sulle nostre finanze e sul nostro assetto costituzionale, come mostrato dai molti ricorsi della nostra Regione alla Corte Costituzionale e da un crescente imbarazzo per un comportamento che è opposto rispetto alla «leale cooperazione» che ci si sarebbe aspettati. Non si è trattato di sbagli, anzi molti membri del Governo (penso a Antonio Catricalà, Vittorio Grilli, Filippo Patroni Griffi, Enzo Moavero Milanesi) si sono distinti per alimentare una vena di forte antiregionalismo e di attacco al sistema delle autonomie comunali. Lo stesso riordino delle Province è stato fatto con la logica di un elefante nel cristalleria. Insomma: i "tecnici" e i "professori" vanno bocciati e dall'ottica dell'autonomia valdostana, calpestata in molti suoi caposaldi, la bocciatura è ancora più secca. Per cui è bene che si voti senza indugi, perché se l'esperienza di Monti dovesse mai proseguire esiste in nuce un rischio di una svolta autoritaria, magari felpata e sorridente, ma che percorre la strada di un accentramento statale anacronistico e pericoloso.