Giorni fa la "Confcommercio", federazione piccoli esercizi, ha reso noto un dato: in Valle d'Aosta, per ogni mille abitanti, ci sono 4,6 bar, un record in tutta Italia. Pur essendo numericamente i bar solo 596, conta nella particolare classifica citata il rapporto con la popolazione e non il numero assoluto. Insomma: se tutti i valdostani decidessero di andare in contemporanea al bar ogni locale ospiterebbe circa duecento persone... Visto che la statistica normalmente ci penalizza (numero di alcolisti, di suicidi, di dipendenti pubblici), questo record - in verità non del tutto inaspettato per chi si guardi intorno - ci deve riempire il cuore. L'unica difficoltà - ma è la statistica, ragazzi - deriva da questo dato del "0,6" che dà l'idea di un baruccio piccolo piccolo, fatto apposta per soddisfare la sete statistica. Che i bar siano diffusi nessuno lo sa meglio di un politico: prima che i Comuni si dotassero di saloni comunali, ma anche in epoca successiva, il comizio di paese si svolgeva in genere al bar. C'era davvero da mettersi d'impegno vista la location, una sorta di "prova del fuoco" per il politico in erba. Ricordo serate memorabili con in chiassosi locali di bar con il vociare, il tintinnio dei bicchieri, i rumori secchi di preparazione della macchina del caffè, il fumo spesso delle sigarette e lui, l'immancabile ciucco del paese, che ti interrompeva al culmine della tua retorica oratoria o gridava improperi a casaccio tanto per disturbare. Una volta affrontato il cimento, sei pronto a tutto e parlare nell'aula di Montecitorio risulterà uno scherzo. Venendo da Verrès che, con una ventina di bar, forse detiene il record nel rapporto fra bar e consumatori, sono vissuto sin da piccolo nell'osservazione dei bar o come si diceva nel Settecento, agli albori del fenomeno illuministico, del "caffè" (così venne battezzato non a caso il più famoso dei giornali degli illuministi milanesi). Poi crescendo, pur non potendo vantare frequentazioni di un bar in particolare, ho visto bar di tutti i generi e in ogni Paese che ho frequentato ritenendolo luogo esemplare per l'osservazione di usi e costumi, ma nel cuore ne ho alcuni qui in Valle che ricordo. Da bambino, era un mito il "Bar Giovanetto" nel cuore di Verrès, dove gli adulti bevevano e giocavano a biliardo, da ragazzino invece ricordo, in fondo al paese, il "Bar Sabot", più adatto a noi giovani che ci avvicinavamo ai primi spazi di libertà personale. Ma c'erano amici che dei bar erano proprietari: come non evocare il "Bar Favre" sul ponte di Champoluc, il bar dell'Alpenrose davanti al "Weismatten" di Gressoney-Saint-Jean e la "Tana del lupo" sulle piste di Ayas che ragazzi della "compagnia" decisero di gestire con danni patrimoniali alle rispettive famiglie per eccessi da bisboccia. O ancora: i pomeriggi passati con i miei cugini da "Lise" (autrice dei dolcetti noti come "meline") a Pont-Saint-Martin, dove ho imparato a giocare a belote e come nel evocare il bar della "Spiaggia d'Oro" a Porto Maurizio con jukebox d'ordinanza dove nascevano i primi amori. Oggi i bar che più traffico sono i quattro o cinque nel perimetro attorno al Palazzo regionale, che poi sono al centro d'Aosta. Lì si inanella parte della politica locale e anche quelli che nelle riunioni ufficiali tacciono accondiscendenti ritrovano d'improvviso, nel rito del caffè o dell'aperitivo, la favella e fanno e disfano. I bar hanno un quid di miracoloso. Una giusta inquietudine deriva semmai dal fatto che il più piccolo dei miei figli, quasi anni due, interrogato su cosa volesse mettere nella letterina a Babbo Natale, oltre alla bicicletta e a un cane, ha chiesto «un bar»...