So che lo dico troppo spesso, ma cosa volete nel tempo - come fanno i giocolieri di un circo - ognuno di noi usa le proprie idee acquisite e le ruota in aria come le clavette nel corso di uno spettacolo. La Storia, questo è il succo, la si vive in certe circostanze "nascenti", come immersi nel flusso rapido di un torrente di montagna, e la corrente ti trascina e tu non sai bene dove vai a finire. Così mi sento di questi tempi: per quanto uno si sforzi di snasare l'aria e di capire i movimenti ho sempre la sgradevole sensazione di essere trascinato via e impedito nei movimenti. Ho sempre detto, con buona pace di chi pensava che essere arroccati nel castello della nostra autonomia speciale, che non esiste più un territorio "franco" dove si possa vivere indipendentemente dalle volontà altrui. Non è mai stato così e non lo è oggi in questo mondo nervosamente percorso da interazioni continue che condizionano pesantemente chiunque di noi e qualunque sia l'attività che svolge.
Ecco perché questa crisi prevede che la politica valdostana si confronti al proprio interno e con l'intera comunità con la situazione delicata che stiamo vivendo e che investe con forza la società locale e rischia di farci trovare di fronte a scenari nuovi dopo molti anni di "quieto vivere". Metto l'espressione fra virgolette perché mai, dal 1945 ad oggi, mai nulla è stato fermo, ma la relativa lentezza delle manovre e degli scenari in movimento consentivano - anche nei momenti delicati per la nostra autonomia e per la coesione della nostra Valle - spazi di risposta ragionevoli e anche un certo margine di errore, correggibile in corsa. Oggi la crisi economica-finanziaria e le gravi ripercussioni sugli equilibri istituzionali e costituzionali dell'Italia sono un autentico tsunami e di fronte alla velocità e all'indeterminatezza dell'impatto bisogna capire bene il da farsi e non basta l'efficacia nell'ordinaria amministrazione o rifarsi a generici proclami sul decisionismo come chiave di lettura di una realtà fattasi troppo complessa. La mia non è una mozione degli affetti, è un appello alla condivisione contro il rischio che le offensive plurime contro l'attuale ordinamento valdostano somiglino non solo alla delicata immagine di una margherita cui vengano tolte una dopo l'altro i petali, ma che nel celebre castello - mentre gli abitanti del luogo fanno altro - c'è qualcuno che a colpi d'ariete sta sfondando il portone e intende mettere a ferro e fuoco il maniero. Immagine forse inadatta a render conto della situazione in realtà assai più sofisticata, che passa oggi attraverso la legislazione d'urgenza che smonta alcuni capisaldi politici e finanziari, come premessa ad ulteriori passi in avanti che riguardano noi in modo specifico, ma vanno inseriti come in un contesto sempre più autoritario dello Stato centrale in spregio alla Costituzione vigente, comprensiva degli Statuti d'Autonomia. E' normale che i periodi d'emergenza abbiano, in questo senso, una doppia lettura: quel che deve essere fatto per rispondere alle difficoltà e quel che, invece, diventa un pretesto. Profittando dei momenti e dell'eccezionalità per scardinare quanto altrimenti sarebbe difficile da toccare, complice il periodo di sospensione di alcuni elementi fondanti. E' il caso appunto delle autonomie speciali, ma in generale del regionalismo e del municipalismo italiano. Per cui i diversi appelli al dialogo, che si incrociano fra di loro, rimbalzando come la pallina di un flipper, dovrebbero alla fine diventare qualche cosa di concreto, che dia il senso che nessuno nega la straordinarietà dei fatti e degli eventi - compresa la necessaria austerità e i celebri sacrifici - ma non si può pensare che questo consenta di sospendere il diritto come in un saloon del Far West.