Pensavo a che cosa scrivere oggi e mi sono fatto uno di quei sonni secchi e improvvisi con tanto di sogno incorporato. Sarà che l'altro giorno guardavo, sporgendomi verso il cantiere archeologico dalla pensilina posta sopra i vecchi piani di calpestio della Porta Prætoria di Aosta, l'insieme dei ritrovamenti, ma mi sono visto - direi nella bellezza del 3D - vestito da antico romano, pronto per una scampagnata verso il Buthier. Tutto questo perché prima di abbioccarmi aveva pensato che avrei dovuto occuparmi delle "gite fuori porta". Potere della suggestione, con tanto di rievocazione storica o forse segno evidente che si è fatta l'ora di stendersi sul lettino di uno psicanalista. Ma il tema resta buono. Quest'anno, in epoca di "spending review" (sarebbe "revisione della spesa"), applicabile anche a scala familiare, le vacanze - per chi ha avuto la fortuna di poterle fare - sono state ridotte ad un bonsai. Ragion per cui si rivaluta la logica della "gita fuori porta", che mi ricorda con acuta nostalgia il passato, quando l'avvento dell'autovettura di massa spingeva a muoversi con l'auto. Era la motorizzazione per tutti, ragazzi! Dalle ricerche di un amico è appurato che la prima macchina di mio padre, prima da giovane veterinario andava a far le visite in moto, fu una "Topolino", che penso sia stata cambiata dopo il 1953, data di nascita di mio fratello Alberto. Mio fratello che sostiene che seguirono - e su quelle viaggiai anch'io - prima una "Anglia" e poi una "Consul" della "Ford" (ho cercato le foto su Internet e ritrovato i modelli sepolti nella memoria). Poi penso, ma son supposizioni, che mio padre passò alla serie, che durò per anni, di auto "Alfa Romeo Giulia super" (l'ultima l'ho ancora guidata anch'io). L'auto "buona", tipo salotto "buono", mentre l'auto da lavoro erano state una serie di "500", poi di "500 Abarth" e poi di "126 Giannini" per finire con alcune "Panda 4x4". Da piccolo, sino alla ribellione adolescenziale dopo il motorino a quattordici anni, c'erano le "gite fuori porta" domenicali in località valdostane dove arrivavano le strade carrozzabili allora in costruzione oppure - top dell'esotismo - l'uso dei due trafori, appena aperti, con destinazione Ginevra dal Monte Bianco e Martigny dal Gran San Bernardo, di cui ricordo anche ascese al Colle fra muri di neve e lo stesso vale, altra gita classica, per il Piccolo San Bernardo. Questo faceva parte dell'educazione sentimentale (per citare Gustave Flaubert) o, se preferite, del lessico familiare (Natalia Ginzburg). Con il particolare non gradevolissimo che mi capitava di soffrire la macchina. Ma era il prezzo del progresso. Ciò detto resta la validità della "gita fuori porta", oggi come allora, sino a quando i figli non si ribellano o per un'escursione in coppia buona per tutte le età.