La Storia è una grande fregatura. A bocce ferme siamo tutti bravissimi ad analizzare i perché di certi avvenimenti e la finezza della ricerca ci può aiutare a capire in profondità fatti e personaggi. Ma quando ci sei in mezzo è raro che si possa cogliere nel flusso quotidiano il senso delle cose che poi, quando il presente è passato, diventa così evidente. Per questo - ma lo dico incidentalmente - ho sempre ammirato quelle personalità che in fasi difficili hanno fatto scelte coraggiose (penso al primo antifascismo in Valle d'Aosta) proprio perché è in quei momenti decisivo farlo e non quando si segue il flusso del conformismo (dopo il 25 aprile erano quasi tutti antifascisti). Ci sono diverse circostanze che mi angosciano di questi anni di crisi economica. La prima è certo l'imprevedibilità di certi avvenimenti a catena, cominciando dall'inizio. E' vero che oggi qualcuno sostiene di averlo detto o scritto, ma la verità è che gli economisti che ora pontificano non avevano capito un tubo. Ci sono poi i banchieri, gli uomini dell'alta finanza e i grandi funzionari degli Stati e dell'Unione europea. Anche qui la Storia dovrà far chiarezza su di un paradosso: la spregiudicatezza e la mancanza di controlli hanno creato un mix mostruoso che ha innescato e alimentato la situazione attuale che non è un gioco virtuale ma sta mettendo in difficoltà con un meccanismo che - fatto di una somma di storie personali che diventano fenomeno sociale - sta impoverendo tutti. Ebbene non solo i responsabili non hanno pagato ma addirittura - basta scorrere l'elenco dei Ministri del Governo Monti per trovarne facilmente - alcuni hanno fatto carriera e sono pompieri e soccorritori per una tragedia di cui sono in parte responsabili. Questo, per il poco che conta, aggiunge alla preoccupazione per il futuro nostro e dei nostri figli una rabbia crescente, che ormai è politica e non solo emotiva. Se poi si aggiunge - l'ho verificato ieri ascoltando via Web il dibattito sulle riforme costituzionali destinate al fallimento - il clima ostile verso la democrazia locale, compresa la nostra autonomia speciale, abbiamo fatto il pieno. Sentivo ieri, nel flusso dello statalismo stolto e vuoto, come si usava il compiacimento in alcuni commentatori per la crisi economica della Catalogna, adoperata per dire: basta con queste situazioni di autonomia speciale. Dimenticandosi - per Barcellona come per Aosta - che se anche le autonomie soffrono che cosa si dovrebbe dire di Madrid e Roma? Sono le Capitali e gli Stati esempio di virtù tali da dettare agli altri regole e comportamenti? Resta l'angoscia del momento e la necessità di scuotersi dall'apatia e ripartire. Un giorno capiremo il disegno, oggi bisogna limitare i danni e rifarsi ad idee e principi, come ad una bussola (oggi diremmo ad un navigatore satellitare) per non sbagliare strada e contro il rischio dell'inanità della politica.