La tentazione di usare il calcio come arma politica non è una novità. Basti pensare alla nazionale italiana di Vittorio Pozzo in pieno regime fascista per intenderci. Per cui capisco la tentazione di queste ore di usare la vittoria di ieri degli azzurri contro i tedeschi come una rivalsa rispetto allo strapotere della Germania proprio in Europa. Io ci andrei cauto a mischiare le mele con le pere, pur apprezzando il risultato dell'Italia e l'accesso alla finale. Ho scritto qui dei gravi errori tedeschi nei contenuti e nei modi nella politica europea. Ma la loro richiesta ai partner europei di "mettere i conti a posto" contro i rischi di un tracollo dei conti pubblici è ragionevole. Così come è ragionevole ribadire che la forza dell'economia tedesca e la loro stabilità politica non sono una grazia ricevuta ma frutto dell'etica del lavoro e del senso pubblico. Certo gli esiti della lunga discussione notturna del Consiglio europeo a Bruxelles sembra ben diverso dalla secchezza di un risultato calcistico. Ascoltando i commenti poco fa ognuno tira l'acqua al proprio mulino e così la stampa italiana esalta il ruolo di Mario Monti per aver saputo trovare - nella logica di un "catenaccio" antispread - una soluzione buona per l'Italia. Mi sono abituato a leggere i documenti originali, dunque mi sembra presto per commentare gli esiti finali. Si è di certo evitato lo "spezzatino" dell'Europa, ma dire con certezza che l'europeismo riparte mi sembra prematuro. Certo è semmai che la "tenaglia Roma (e le altre Capitali) - Bruxelles", nel nome del rigore dei conti pubblici, è una sommatoria evidente di due centralismi che restringono gli spazi dell'"altra" Europa, quella delle Regioni come la nostra. Sarebbe corretto che si smettesse di parlare di federalismo e propongo, in difesa delle idee e dei principi, di usare un neologismo: lo "sfederalismo", come segno lessicale dei tempi difficili.