Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
03 feb 2012

Sant'Orso 1012

di Luciano Caveri

Chissà quali meccanismi di sicurezza ci portano sempre a guardare al presente solo ed esclusivamente collegato ad un lungo passato. Come se fossimo insicuri del presente e, mai come oggi, della sua stabilità. Così per la "Fiera": 1012esima edizione è un numero che fa impressione, anche se sappiamo bene che è  una numerazione convenzionale e certamente arbitraria. Mille anni di storia saranno un pezzettino nella storia ancora più lunga della nostra comunità, ma sono secoli che ci hanno portati in una cavalcata sempre più veloce dal Basso Medioevo ad oggi, concentrando cambiamenti incredibili. Per dire, però, che se il riferimento, plasmato nella ricerca di illustri radici si gioca nel riferimento con le fiere medioevali e nelle gesta di quel santo taumaturgo che fu Orso (ha fatto bene il grande esperto d'artigianato tradizionale, Carlo Jans, a ricordare di recente che non va ritratto come vescovo, perché non lo era mai stato!), bisogna dirsi però la verità. E quella ci dice che la "Foire", nella versione attuale, è figlia dell'autonomia speciale e del benessere che ci ha portato. E anche di un'arte popolare pian piano distaccatasi dai modelli più strettamente legati al mondo rurale. In questo momento, magari guardando alla grande idea di Emiro Marcoz "Veillà di petchou" (in cui ho avuto anch'io un ruolo promotore), che si svolge nella piazzetta di via Vevey con un sacco di bimbi alla scoperta della "Sant'Orso", viene in mente la frase di Louis Aragon: «j'ai réinventé le passé pour voir la beauté de l'avenir». Non priviamoci mai della necessità di guardare al futuro con speranza, perché nessuno ha il diritto di farlo.