Ormai nella già storica rozzezza della politica all'italiana si è innescata una vocazione calcistica: quel che dovrebbe contare è chi ha vinto e chi ha perso, anche se poi sotto sotto vige la ricerca del compromesso. Siamo così in un logica da "sangue e arena" fra il grottesco e il tragico anche nei commenti su qualunque avvenimento, che talvolta somigliano a fuochi d'artificio. Per cui chi si arrischi a dire la propria finisce per giocare a questo collettivo gioco al massacro e, comunque sia, arrischia un giudizio. Mi riferisco ovviamente alla tanto attesa e drammatizzata sentenza di oggi della Corte costituzionale sulla legge sul "legittimo impedimento", nata - diciamolo in premessa senza essere ipocriti - come "scudo" contro i processi in cui è coinvolto Silvio Berlusconi. La decisione odierna della Consulta ha - a mio modestissimo avviso - "smontato" proprio la parte fondamentale della legge sul "legittimo impedimento", ridando di fatto un ruolo significativo al giudice e ciò non è per nulla banale. Poi, come tutto, si può vedere la stessa cosa in modo diametralmente opposto perché l'agreement non esiste in una politica italiana che tende ormai alla complicazione perenne. D'altra parte questa è la realtà: anche chiudendo gli occhi resta uguale...