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28 dic 2010

Ci fu un tempo

di Luciano Caveri

Farà ridere ma un tempo questo era il periodo delle agende annuali, che erano grandi e lussuose in una logica crescente da ufficio fantozziano (con al vertice, ça va sans dire, l'agenda di pelle umana) e incredibilmente c'è ancora qualcuno che le invia come regalo. Facciamo un passo indietro: l'agenda è stata uno status symbol, nel senso che aveva un ruolo di classificazione sociale e certo, ma solo in parte, ognuno la sceglieva secondo la sua personalità. La mia era l'agendina "Quo vadis", nata all'inizio degli anni Cinquanta e sviluppatasi nella logica della pianificazione e le versioni parlamentari erano particolarmente belle e con il nome inciso in copertina. Dagli anni Novanta, prima in parallelo a quella cartacea, ho iniziato ad usare agende-organizer elettroniche, la cui complessità vanificava in parte gli sforzi. Poi, lentamente ma inesorabilmente, il telefonino diventato palmare ha integrato tutto in un solo apparecchio. Le circostanze mi hanno trasformato da blackberrista in iPhonista, attento a backup plurimi per evitare - mi è successo i primi tempi - il trauma della sparizione totale e improvvisa dei dati. Un lutto vero e proprio. Le agende cartacee che arrivano, come dei mammut nei ghiacci, fanno una brutta fine e sono il segno di semplici abitudini ripetute o di dirigenti che vivono nel passato, come le loro agende. Diffidare di chi snobba le nuove tecnologie solo perché non le capisce.