Ho seguito in diretta radio e televisiva una buona parte del dibattito, prima alla Camera e poi al Senato, dedicato alla fiducia al Governo Berlusconi. Fiducia che - lo dico incidentalmente - sembra ormai preludere ad elezioni anticipate. Conosco bene i regolamenti parlamentari, prassi e consuetudini, retroscena e usi: capisco che tutto sa di antico e di difficile da capire. Mio figlio studia al Ginnasio alcuni "fondamentali" di diritto costituzionale e parlandone con lui - con la fierezza di «esserci stato» - avverto tuttavia come alcuni aspetti siano ormai distantissimi dalla realtà attuale. Se già per me alcune cose apparivano ammuffite, figurarsi per i giovani! Penso all'oratoria parlamentare, così distante dal linguaggio quotidiano e ogni tanto rifletto, con qualche brivido, sui danni che il "politichese" ha fatto sul mio lessico. Mi riferisco al rito di interrogazioni e interpellanze, la ritualità di appelli, resoconti, votazioni. Un mondo autoreferenziale che rischia un progressivo distacco dalla società. E' un peccato che sia così perché non consente di fare emergere la forza del parlamentarismo, come luogo fisico di dibattito e di confronto e sede di quel lavoro vitale che è la legislazione (territorio pur invaso dall'esecutivo), per non dire di quell'attività ispettiva e di controllo che dovrebbe consentire un ruolo forte ai parlamentari. Fa sorridere chi cavalca l'anti-parlamentarismo nel nome dell'efficacia, della rapidità, del decisionismo. Un'assemblea può essere del tutto coerente con queste esigenze, ma bisogna spezzare vecchie logiche e inutili incrostazioni.