Leggendo il libro "Acciaio", successo estivo della giovane Silvia Avallone, che incrocia le storie di alcune famiglie di un quartiere operaio con il gigantesco stabilimento siderurgico di Piombino, viene un qual certo dispiacere che nessuno abbia mai scritto nulla di simile sulle vite che, generazione dopo generazione, si sono succedute attorno alla "Cogne" di Aosta, magari con descrizioni ancora più efficaci di questa città nella città e forse con quella storia umana - fatta di testimonianze che se ne vanno con il tempo - che nessun museo potrà mai rendere del tutto. La "Cogne" è stata per molto tempo il marchio distintivo di Aosta: quasi ogni famiglia aveva in casa un operaio, un impiegato o un dirigente (tre miei zii han lavorato lì), alcuni quartieri della città "erano" la Cogne, che accompagnava le persone dalla culla alla tomba con una sorta di società parallela fra presenza aziendale, mutuo soccorso, ruolo dei sindacati, attività scolastiche e dopolavoristiche, persino le malattie derivanti dalla rudezza del lavoro appartenevano a questo mondo. La fabbrica, con i suoi fabbricati e le sue sirene, i suoi rumori e odori, i fumi e le polveri e l'andirivieni di una massa di persone imprimeva la sua presenza negli spazi fisici e nella società che si impregnava delle culture della fabbrica, compresa la politica che ha fatto i conti con "quella" presenza, seguendone successi, crisi e ristrutturazioni. Il paesaggio era pieno della "Cogne": pensate ai treni e trenini, alle teleferiche e alle centrali elettriche, alle miniere di Cogne e La Thuile, attraverso i cicli dell'economia, l'evoluzione tecnologica e pure i cambiamenti dell'architettura. Per molti valdostani di oggi quei muri di cinta e quegli enormi capannoni, che ospitano cicli produttivi spettacolari e stupefacenti per chi li veda per la prima volta, sono diventati silenti e non comunicano più come in passato. E' un peccato che ciò avvenga perché quella fabbrica è stato un pezzo importante di storia e un crocevia di tante esistenze.