Un amico albergatore di La Thuile, a fine inverno, mi aveva fatto un'osservazione che non avevo mai sentito: «sulla stagione sciistica ha pesato l'incertezza del tempo. Sono state solo poco più di una quindicina le giornate di bel tempo». Che l'inverno fosse stato una schifezza, lo si abbiamo visto tutti, come ora tutti vediamo gli "stop and go" di una bella stagione che non decolla. Essendo il clima e la meteorologia uno dei capisaldi della socialità, annoto qui (per non parlare sempre di politica, che finisce per essere una scocciatura) una corrente di pensiero di cui ho letto che, senza spiegare il tempaccio dei mesi scorsi, scopre ora il capro espiatorio della primavera-estate: sarebbe lui, il vulcano islandese Eyjafjallajokull, con la sua cenere nei cieli. E viene evocato sinistramente il 1816, un anno in cui non ci fu l'estate per l'eruzione del vulcano Tambora nell’isola di Sumbawa nelle allora Indie olandesi. Speriamo che il riferimento sia una balla e il cielo spesso grigio con annessa pioggierellina una casualità, come l'inverno senza sole.