Nei primi anni della mia esperienza politica ero piuttosto giovane per essere deputato e ciò mi ha consentito, per un ragionevole periodo, di incontrare i giovani liceali o universitari su un piano di notevole assonanza. Una sorta di "feeling" che superava i rischi di approccio con quella che poteva essere colta come "autorità" a detrimento della schiettezza di rapporti. Poi da "affine" con il passare del tempo cambi veste, in una logica di ufficialità, e nell'incontro con i giovani devi valutare sempre quanto nel dialogo finisca per essere parzialmente modificato dal gap generazionale.
Si tratta di problemi di comprensione reciproca, di linguaggio diverso, di capacità di un confronto dinamico e di altri meccanismi analoghi. Ricordo, nella pur breve esperienza di "prof" all'Università di Torino, certi sforzi oratori e didattici per accorciare al massimo quello spazio neutro fatto di "freddezza" generazIonale e di distanza dettata dai ruoli. Eppure il "ponte" fra generazioni è davvero indispensabile, anche e soprattutto in politica, per stabilire elementi di incontro, di scambio e di reciproca comprensione per rendere meno visibili e traumatiche quelle discontinuità che da ragazzi noi stessi rimarcavamo rispetto al mondo degli adulti e alla loro incapacità di capirci e di essere goffi nell'affrontare la modernità e i suoi problemi. Oggi - quanto volte l'ho detto - il compito è arduo, a fronte di giovani sempre più in minoranza nella nostra società, per adulti che "giocano" ad un giovanilismo esasperato oppure, peggio ancora, finiscono per covare un sordo rancore verso i giovani e verso quegli elementi di novità che essi ragionevolmente interpretano. Invecchiando (male) si diventa conservatori, abitudinari e pure rompiballe. Ciò rischia di nuocere alla relève: se i giovani saranno stufi e scocciati saranno tempi duri.